Bimba morta a Milano, le foto tra i palloncini di Diana Pifferi
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Emergono nuovi elementi raccapriccianti sul decesso della piccola di 18 mesi. La Procura chiede il giudizio immediato per la mamma, Alessia Pifferi: il processo dopo l’incidente probatorio del 30 gennaio
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Un'agonia lunghissima quella della piccola Diana, la bimba di 18 mesi morta di stenti a Milano perché lasciata in casa, sola, dalla mamma Alessia Pifferi. Il 30 gennaio si chiuderà il lungo iter delle indagini con il deposito delle relazioni al termine dell’incidente probatorio chiesto dalla difesa della donna, ma intanto emergono altri dettagli su una morte atroce: nello stomaco non aveva brandelli di cuscino e di materasso, come si era detta in un primo momento, ma di pannolino: quello stesso che si era tolta e che è stato trovato poco distante dal cadaverino. Lo rivela Il Giorno.
E' l’autopsia, già depositata nella relazione definitiva, a raccontare che Diana è morta di sete, tecnicamente per una gravissima e prolungata disidratazione, aggravata dalle temperature altissime di luglio: sola, chiusa in casa nel monolocale di via Parea con le finestre sigillate per non far sentire il suo pianto ai vicini e senza aria condizionata. Probabilmente ha provato a mangiare quel pannolino, perché aveva fame.
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La droga nel biberon - Per gli investigatori Diana non si sarebbe mai alzata dal lettino da campeggio in cui era stata sistemata, non solo perché non era in grado di camminare, ma anche perché era stata drogata con benzodiazepine. Nel soggiorno in cui si trovava la bambina è stato trovato il biberon con residui di latte. Saranno questi a provare quanto benzodiazepine le è stato realmente somministrato, anche se la mamma di Diana continua a ripetere di non aver drogato la sua bambina. Ma per la Procura, l’esistenza di benzodiazepine, che risulterebbe sui capelli di Diana, è un dato inconfutabile, al punto da anticipare anche che si tratterebbe di dosi massicce.
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Le indagini - Sono stati respinti dal giudice per le indagini preliminari gli ultimi accertamenti, sempre richiesti dalla difesa, su due tazzine da caffè trovate nella cucina del monolocale di via Parea. Sono state ritenute dal giudice "accertamenti inutili e dispersivi". Per la difesa invece, le tazzine avrebbero potuto provare l’esistenza in casa di più persone nelle ore precedenti alla morte di Diana. La procura ha fatto sapere che subito dopo l’esito dell’incidente probatorio chiederà il giudizio immediato con l’accusa di omicidio pluriaggravato. In questo contesto giudiziario (reato è punibile con la pena dell’ergastolo), per la difesa, quindi, non sarà più possibile chiedere l’abbreviato e si andrebbe, nel caso, direttamente alla discussione in Corte D’Assise.
La posizione della mamma - Alessia Pifferi, in carcere da luglio, ha sempre negato di aver fatto ingerire droghe alla figlia, dicendo di averle dato solo gocce di paracetamolo. La donna non ha mai cambiato versione sul motivo per cui aveva deciso di lasciare sola la bambina, e cioè sul bisogno di crearsi una vita con il suo fidanzato (che non sapeva della bimba lasciata sola). Anche l’analisi delle chat del telefono ha confermato che Diana era vissuta come un peso dalla madre, un limite alle sue frequentazioni.
La dipendenza dal compagno - Stando a quanto scrive il gip, la Pifferi aveva una "forma di dipendenza psicologica dall'attuale compagno, che l'ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell'inflizione di enormi sofferenze" alla bimba. Con una "condotta dall'impatto intrinsecamente ed estremamente violento, anche se non in forma commissiva, nei confronti della persona in assoluto più vulnerabile". La donna, prosegue il giudice, è "incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti" e non ha "rispetto per la vita umana".