Emergono intercettazioni e video, il Tribunale di Sorveglianza deciderà in che termini prorogargli le misure restrittive
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Racconta di essere uno scrittore, fa volontariato in una onlus: Salvo Riina, il secondogentito del capo dei capi di Cosa nostra, era però cliente abituale di uno spacciatore tunisino di Padova, sebbene sottoposto a libertà vigilata. E a casa sua organizzava festini a base di cocaina. Per la Procura distrettuale antimafia di Venezia ce n’è abbastanza per mandarlo in una casa di lavoro e tentare un percorso di riabilitazione. Non basta più solo l’obbligo di dimora, anche perché Salvo, già condannato per associazione mafiosa, conosce molti dei segreti del padre.
Gli investigatori della squadra mobile e i colleghi del Servizio centrale operativo hanno tenuto sotto controllo il figlio del capo di Cosa nostra, morto nei giorni scorsi, dal settembre 2016 al maggio scorso. Sono stati accertati decine di acquisti di droga, ben 279 telefonate ai pusher. E, alla fine, anche lo spacciatore di fiducia del giovane ha confessato dopo essere stato arrestato il 13 settembre. Una doccia fredda per Riina, che pochi giorni fa aveva avuto un permesso del magistrato di sorveglianza di Padova per tornare in Sicilia e partecipare alla tumulazione del padre. Poco dopo la brevissima cerimonia al cimitero di Corleone Salvo Riina era subito andato via. Nei prossimi giorni, la decisione del giudice.