a marsa alam

Italiano ucciso in Egitto da uno squalo, la moglie: "Non è stato imprudente, nessuno è intervenuto"

La donna ricostruisce la tragedia di dicembre 2024: "Mio marito non ha sfidato il destino, eravamo nella zona sicura"

11 Mar 2025 - 11:08
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Nessuna imprudenza, "eravamo nella cosiddetta zona sicura". Così racconta Laurence, la moglie di Gianluca Di Gioia, il 48enne ucciso da uno squalo a dicembre 2024 a Marsa Alam, in Egitto. "Per mesi ho ascoltato, letto e rivissuto il dramma, senza mai replicare - prosegue la donna -. Io e il resto della nostra famiglia eravamo presenti e siamo testimoni diretti. Mio marito non è stato imprudente, non ha varcato alcuna soglia inibita, non ha sfidato il suo destino. Gianluca era una persona prudentissima. Grande viaggiatore, cittadino del mondo, rispettoso delle regole e della natura. Con il senno di poi l’unica imprudenza è stata quella di scegliere un luogo di vacanza non organizzato e non attrezzato per fronteggiare le emergenze".

L'attacco dello squalo

 Intervistata dal Corriere della Sera, la donna spiega di aver deciso di parlare per "risarcire la memoria di Gianluca e per raccontare chi era veramente". A partire da cosa accade quel giorno. "Io, Gianluca e, poco distante, mia cognata Alessandra. Eravamo nella zona cosiddetta sicura, al di qua delle boe che indicano l’inizio delle acque più rischiose. Nessuno ci aveva allertato di un possibile pericolo. Ovviamente parliamo di boe che galleggiano in acqua. Sotto non c’è una recinzione che possa bloccare l’arrivo di uno squalo. Stavamo facendo snorkeling quando ho visto lo squalo. Era a meno di due metri e puntava dritto verso Gianluca. Ho cominciato a urlare, gli ho detto di allontanarsi, ma in un attimo lo ha aggredito".

"Nessuno è intervenuto, non hanno mandato mezzi di soccorso"

 Laurence racconta quindi di come non ci siano stati dei soccorsi repentini. "Ho continuato a gridare con tutte le mie forze, chiedevo disperatamente aiuto, ma non arrivava nessuno. Né un bagnino, né un mezzo di soccorso. Quando poi sono giunta al pontile il bagnino l’unica cosa che faceva era soffiare in un fischietto. Quell’inutile fischio ce l’ho ancora in testa e non potrò mai dimenticarlo. Fischiava, ma nessuno si decideva a mandare un mezzo di soccorso. Una lentezza esasperante. C’erano due gommoni legati, ma non trovavano le chiavi. E quando finalmente sono riusciti e hanno riportato Gianluca sul pontile hanno perso altri dieci minuti prima che arrivasse una macchinina che lo ha portato in un ambulatorio".

Anche per la madre di Gianluca, Angela, il ritardo nei soccorsi è un elemento chiave di questa tragedia. "C’ero anche io - racconta sempre dalle pagine del Corriere della Sera -. Dal pontile ho sentito urlare prima ancora di capire che fosse mio figlio. Ricordo una voce energica, di una persona ancora in forze. Se fossero intervenuti subito, se fosse partito il gommone, se gli avessero legato la gamba bloccando la perdita di sangue mio figlio forse sarebbe ancora vivo".

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