I carabinieri hanno fatto irruzione e portato fuori Francesco Amato, finora latitante. Tutti incolumi gli ostaggi
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Francesco Amato, imputato condannato pochi giorni fa nel maxi-processo di 'ndrangheta "Aemilia" è stato bloccato dopo essersi asserragliato dentro l'ufficio postale di Pieve Modolena (Reggio Emilia) con un coltello. E' entrato urlando "vi ammazzo tutti" e poi ha fatto uscire i clienti, tenendo in ostaggio cinque dipendenti, tra i quali la direttrice. Dopo ore di tensione, i carabinieri hanno fatto irruzione e portato fuori Amato, che intanto si era arreso.
Si è consegnato ai carabinieri - "Ha aperto la porta lui, ha fatto uscire gli ostaggi e si è consegnato", ha spiegato il comandante dei carabinieri di Reggio Emilia, il colonnello Cristiano Desideri. "Il tempo, la pazienza e il dialogo coi negoziatori, gli hanno fatto capire che non avrebbe potuto ottenere quello che chiedeva", ha aggiunto. Sulla via Emilia si sono vissuti però ore di grande paura e sono stati chiamati anche nuclei specializzati dei carabinieri, i Gis di Livorno.
"Vi ammazzo tutti" - Amato, nato a Rosarno e irreperibile dal giorno della sentenza, era entrato come un normale cliente, poi ha estratto un coltello da cucina con una lama di 35 centimetri e si è messo a urlare: "Sono quello condannato a 19 anni in Aemilia, uscite o vi ammazzo tutti". Una quindicina di clienti sono corsi fuori, mentre lui è rimasto asserragliato dentro l'ufficio con cinque dipendenti, tra i quali la direttrice. Ha chiesto, a più riprese, di poter parlare con il ministro Salvini, per poter denunciare la sentenza ingiusta nei suoi confronti.
Era ossessionato dagli estremisti islamici - Tra le sue ossessioni, da anni, c'era poi il radicamento islamico all'interno delle carceri italiane. E anche durante il sequestro ha chiesto ai carabinieri che trattavano con lui di poter parlare con il ministro dell'Interno per denunciare anche questa situazione.
Chi è Francesco Amato - Francesco Amato, 55 anni, è stato condannato il 31 ottobre a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia, con l'accusa di essere uno degli organizzatori dell'associazione 'ndranghetistica. Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era "costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati".
Non nuovo a gesti eclatanti - Nel 2016, all'inizio del processo, lo stesso Amato aveva affisso un cartellone provocatorio davanti al tribunale di Reggio Emilia, scritto a pennarello e pieno di invettive. Amato si era autodenunciato poi in aula definendosi l'autore di quel cartellone in cui, diceva, "era anche contenuto il nome dell'autore delle presunte minacce al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti", per le quali sono state arrestate nelle scorse settimane due persone, tra le quali un sacerdote.
La condanna a 19 anni - Il processo Aemilia ha visto il 31 ottobre la conclusione del suo dibattimento, con 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere e altre 24 in abbreviato: tra questi anche l'ex calciatore Vincenzo Iaquinta (due anni per reati di armi, ma senza aggravante mafiosa) e 19 per il padre Giuseppe. Sempre in abbreviato, sono già definitive in Cassazione le condanne per i promotori dell'associazione a delinquere di stampo mafioso contestata dalla Dda, che nel 2015 fece scattare oltre 160 arresti, assestando un forte colpo alla "'ndrangheta imprenditrice".