DIECI ANNI DOPO

Aldrovandi, madre ritira le querele contro Giovanardi e i poliziotti

"Non è un perdono, ma non voglio più sapere nulla di loro" spiega la donna in una lunga lettera

07 Lug 2015 - 19:00
 © ansa

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La madre di Federico Aldrovandi ritirerà le querele presentate nei confronti del senatore Carlo Giovanardi, dell'agente di polizia Paolo Forlani, condannato in via definitiva per la morte del figlio, e di Franco Maccari, segretario del sindacato di polizia Coisp. Lo ha annunciato la stessa Patrizia Moretti: "Non è un perdono, e d'altra parte nessuno mi ha mai chiesto scusa, ma non voglio più sapere nulla di loro".

Tra due mesi, ha ricordato la donna, saranno passati 10 anni dalla morte di Federico, e i quattro agenti responsabili sono stati condannati in via definitiva dalla Cassazione. Le querele nei confronti di Giovanardi, Forlani e Maccari erano state presentate poiché sia il senatore sia i poliziotti hanno reso dichiarazioni "volgari, offensive e dolorose nei confronti di Federico e della nostra famiglia".

Giovanardi ad esempio, ha sottolineato Patrizia Moretti, "ebbe il coraggio di dire che il cuscino sotto la testa di Federico all'obitorio non era macchiato di sangue ma era rosso". Altre "falsità e bugie" sono arrivate dal segretario del Coisp Franco Maccari, che organizzò una manifestazione sotto le finestre dell'ufficio della donna a Ferrara, e dall'agente Forlani. "Non dimenticherò mai le offese che mi ha rivolto dopo la sentenza della Cassazione: è stato lui, sconosciuto e violento, ad appropriarsi degli ultimi istanti della vita di mio figlio".

Prima di decidere di ritirare le querele, ha spiegato la donna, "ho riflettuto a lungo. E alla fine mi sono accorta che avevamo vinto su tutti i fronti: non vi era più alcun dubbio, tra l'opinione pubblica, sulle persone che ho querelato". Dunque andare avanti "sarebbe stata una fatica soltanto mia che nulla aggiungerebbe utilmente e concretamente a nessuno se non alla loro visibilità".

Ecco perché "dico basta. Non lo faccio perché mi è venuta meno la fiducia nella giustizia, ma dieci anni sono troppi. Mi voglio sottrarre a questo stillicidio e sono convinta che una sentenza di condanna non potrebbe cambiare persone che, da quanto capisco, costruiscono la loro carriera sull'aggressività e sul rancore".

Da oggi, conclude in una lunga lettera intitolata "Io ci sto male, per loro è un mestiere", "non voglio più sapere nulla di queste persone, che offendono un ragazzo morto e alimentano il dolore di una famiglia. Non voglio neanche più sentir pronunciare i loro nomi".

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