Il Csm ha sottoposto il caso alla Prima commissione per valutare un'eventuale incompatibilità funzionale del magistrato
E' bufera su Francesco Caruso, il presidente del Tribunale di Bologna che, in un post su Facebook, aveva definito la riforma costituzionale fondata su "corruzione" e "clientelismo". Il Comitato di presidenza del Csm ha inviato l'articolo apparso su "La Gazzetta di Reggio" alla Prima commissione perché valuti se ci sono gli estremi per un eventuale trasferimento d'ufficio per incompatibilità funzionale.
Il Comitato di presidenza ha poi investito il procuratore generale della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare, del caso legato a Caruso, che è presidente del tribunale nel capoluogo emiliano soltanto da poche settimane. La riforma, ha scritto Caruso su Facebook, è "fondata su valori del clientelismo scientifico e organizzato, del voto di scambio, della corruzione e del trasformismo".
Il giudice: "Mai detto che il Sì è da repubblichini" - Dopo la bufera scatenata da quel post, il magistrato prima fa sapere di voler rimanere "chiuso nel riserbo" ma poi, durante una pausa dell'udienza del processo "Aemilia" (sulle presunte infiltrazioni mafiose nel territorio) a Reggio Emilia commenta così le polemiche sul suo conto: "Mi sono state attribuite cose che non ho detto. Non ho detto che chi vota Sì al referendum sia un repubblichino, ma che commette un errore grave come quello compiuto da chi sostenne la Repubblica di Salò. E' una cosa del tutto diversa".
Il post e la polemica, tra attacchi e difese - Subito erano arrivati gli attacchi del Pd, con l'ex parlamentare Pierluigi Castagnetti che ha definito quel testo un "delirante manifesto per il No", mentre i Cinquestelle avevano fatto proprie le parole di Caruso.
Oltre al passaggio sulla corruzione, su Facebook il magistrato aveva scritto: "Si avvera la profezia dell'ideologo leghista Gianfranco Miglio che nel 1994 proponeva una riforma che costituzionalizzasse le mafie". Parole gradite al M5s, che lo difende: "Abbiamo sempre sostenuto che la riforma creerà più corruzione #iodicono", twitta Luigi Di Maio. "E' consentito a un giudice delirare?", si era domandato invece in un tweet Castagnetti.
L'interessato conferma integralmente il suo post, anche se precisa che l'intervento a sua firma in realtà "non era destinato alla pubblicazione sul giornale, pubblicazione non richiesta né autorizzata, trattandosi di un testo 'privato', scritto sulla propria pagina Facebook, destinato a un numero limitato di lettori". La pubblicazione, quindi, "ha l'evidente scopo di sollevare una polemica giornalistica alla quale il ruolo istituzionale impone di rimanere estraneo". Se avesse pensato di scrivere per un giornale, "le stesse idee e gli stessi concetti sarebbero stati presentati in forme diverse, se sin dall'inizio destinati al più ampio pubblico".
Pronta la replica del quotidiano di Reggio Emilia. "Il dottor Caruso ha una percentuale di ragione: nel pubblicare il suo pensiero sul referendum non abbiamo segnalato la sua originaria pubblicazione sul profilo Facebook", concede il direttore Stefano Scansani. Ma è anche vero che Caruso ha 230 amici sul profilo social, per i quali "non esiste il segreto amicale". Inoltre, "non c'è già la polemica sul referendum, nella quale il dottor Caruso ha voluto entrare?".