In tre ore davanti al Gip, il militare, arrestato mercoledì assieme al altri sei colleghi, si è difeso ma avrebbe fatto anche le prime ammissioni
E' durato tre ore l'interrogatorio di Giuseppe Montella, il carabiniere considerato al vertice della piramide del sistema criminale messo in piedi nella caserma Levante (Piacenza). "Si può sbagliare, si possono fare errori, per ingenuità, per vanità, per tante cose. Certe condotte possono avere rilevanza penale e chi ha sbagliato pagherà", ha detto Emanuele Solari, legale di Montella al termine dell'interrogatorio.
Le prime ammissioni di Montella Non c'era lui al vertice della piramide. Anzi non c'era proprio "una regia" dietro gli arresti. E non è lui l'uomo nero della storia, tanto che i cronisti dovrebbero essere "più cauti e sobri" nello scrivere, evitando "i racconti alla Scarface", ha quindi spiegato il legale di Montella.
In tre ore davanti al Gip, il militare, arrestato mercoledì assieme al altri sei colleghi, si è difeso ma non ha potuto negare l'innegabile, documentato in decine di intercettazioni in cui lo spazio per le interpretazioni della sua stessa voce è praticamente nullo. E avrebbe infatti reso le prime ammissioni. "Ci saranno ulteriori riscontri ma è stato collaborativo al 100%" ha detto il suo avvocato, definendo l'appuntato dei carabinieri "molto provato".
Ancora più diretto l'altro legale, Giuseppe Dametti: "C'è stata una collaborazione completa, chiarificatrice, esplicita e senza esitazioni". Quanto sia andato a fondo Montella, uno che per i pm si sentiva "svincolato da qualsiasi regola morale e giuridica", quanto abbia spiegato tutti quegli arresti da gennaio in poi tacendo che venivano promossi dai suoi "galoppini", senza accertamenti sul territorio e "macchiati da violenze e percosse", lo si capirà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Soprattutto per quanto riguarda la catena di comando visto che, dicono gli avvocati, anche questa questione, e dunque quali e quanti superiori nella scala gerarchica sapevano del modus operandi in voga nella caserma Levante, "è stata chiarita".
La versione di Falanga: "I soldi nella foto? Vincita al Gratta e Vinci" E ha parlato anche Giacomo Falanga, anche se la sua ricostruzione sembra fare acqua da tutte le parti. La foto in cui sorride con una mazzetta di denaro in mano assieme a Montella e a due spacciatori? "Non ha nulla a che vedere con Gomorra - dice il suo avvocato Daniele Mancini - è del 2016, era su Facebook con tanto di commenti ed è il frutto della vincita al Gratta e vinci".
E il nigeriano pestato?, quello che si vede nella foto che accompagna l'intercettazione in cui proprio Falanga racconta che i suoi due colleghi Montella e Cappellano devono fare "il poliziotto buono e il poliziotto cattivo"? "Non si può condannare una persona per una battuta, le cose vanno contestualizzate". E come? "Il nigeriano non è stato picchiato in sua presenza, è stata una spacconata di Montella, in realtà è caduto durante l'inseguimento". Ma le parole dello stesso Montella sembrerebbero inequivocabili. "Quando ho visto tutto quel sangue per terra ho detto boh, lo abbiamo ammazzato". E poco dopo, al telefono con la compagna Maria Luisa Cattaneo, "l'abbiamo massacrato quello che è scappato".
Cappellano non ha risposto al Gip Chi non ha aperto bocca, invece, è Salvatore Cappellano. Quello che secondo gli inquirenti e gli investigatori sarebbe l'autore materiale delle botte e delle torture e quello che la procura definisce "l'elemento più violento della banda dei criminali" che per anni ha imperversato nella caserma Levante. Senza che nessuno se ne accorgesse. Forse. "Ciò che proprio non si riesce ad accettare - scrivono infatti i pm - ed ancora prima a comprendere, è come sia stato possibile che detto sistema delinquenziale si sia protratto per anni".