Un messaggio vocale, nel 2018 era costato l'impiego a un operaio. Provvedimento annullato per mancato rispetto del suo diritto alla riservatezza
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Licenziato nel 2018 per frasi dure, severe e anche volgari contro i suoi capi in un messaggio vocale condiviso su una chat in Whatsapp con 13 colleghi. Ma la Cassazione reintegra nel posto di lavoro un operaio di Firenze annullando il provvedimento dell'azienda e stabilendo indennizzi a suo ristoro. Per la suprema corte, come riporta Il Corriere Fiorentino, è stata l'azienda a violare il suo diritto alla riservatezza, mentre il suo dipendente con le sue critiche, anche forti, non ha esercitato né minaccia, né diffamazione, ma ha espresso solo giudizi in un contesto lavorativo.
Infatti, premettono gli ermellini, c'è una sentenza della Corte Costituzionale che differenzia fra la corrispondenza via e-mail (posta elettronica) e chat (conversazioni per via telematica) - la quale rimane segreta e riservata alla stregua di una lettera inviata in busta chiusa per posta -, e le frasi pubblicate sui social come Facebook rese così accessibili a tutti, dove invece la volontà dell'estensore o del dichiarante è che le sue affermazioni sia o pubbliche.
Dunque, la chat aziendale su Whatsapp fa parte di una corrispondenza che deve restare segreta e non può essere divulgata senza il consenso del dichiarante. Nella vicenda specifica risulta che uno dei 13 membri della chat avrebbe condiviso le affermazioni del collega contro i capi.
Ma, conclude la Cassazione, la riservatezza della comunicazione è tale per cui il datore di lavoro non ha la prerogativa di esercitare "un potere sanzionatorio di tipo morale" tale da comprimere gli spazi di libertà sanciti e tutelati dalla Costituzione al punto di licenziare il dipendente. Anzi, "tale iniziativa costituisce violazione del diritto alla segretezza e riservatezza della corrispondenza in danno del dipendente". In precedenza anche la corte civile di appello di Firenze aveva dato ragione all'operaio.