La 63enne triestina è scomparsa da casa il 14 dicembre ed è stata ritrovata senza vita il 5 gennaio nel vicino boschetto dell'ex ospedale psichiatrico. Per gli inquirenti si fa largo l'ipotesi del suicidio
L'analisi scientifica della traccia biologica maschile trovata sul cordino che stringeva al collo i due sacchetti di nylon nei quali era infilata la testa di Liliana Resinovich ha dato esito negativo. Il Dna dunque non è né del marito Sebastiano, né dell'amico Claudio, né del vicino di casa Salvatore. La 63enne triestina è scomparsa da casa il 14 dicembre ed è stata ritrovata senza vita il 5 gennaio nel vicino boschetto dell'ex ospedale psichiatrico.
Il ritrovamento del corpo Come riporta il Corriere della Sera, gli inquirenti dopo il ritrovamento del corpo della donna in posizione fetale all'interno di due sacchi neri della spazzatura, aperti, uno infilato dalla testa e l'altro dai piedi, gli inquirenti non hanno escluso alcuna pista. Chi conduce le indagini non ha mai escluso l'ipotesi del suicidio.
Le indagini A deporre per quest'ultima ipotesi, è la scoperta del Dna di Liliana sul cordino, che lei avrebbe usato per soffocarsi. Una traccia nitida ma mista, nel senso che sullo stesso punto è stato individuato anche un Dna maschile, molto debole, al quale gli inquirenti non hanno mai dato molta importanza.
L'esame del Dna Per non lasciare nulla di intentato si è deciso di procedere alla comparazione con il Dna dei soggetti più vicini a Liliana (nessuno di loro indagato): il marito Sebastiano Visintin, l'amico del cuore Claudio Sterpin, e il vicino di casa Salvatore Nasti. Secondo la Scientifica nessuno dei tre ha toccato quel cordino che potrebbe aver soffocato Liliana. Considerato poi che dall'indagine non sono emersi elementi concreti contro terze persone, gli inquirenti ritengono sempre più probabile che la soluzione del giallo possa essere il suicidio della donna.