l'inchiesta va avanti

Funivia, dai freni malfunzionanti al cavo spezzato: tutti i lati oscuri della tragedia

L'unica cosa chiara, al momento, è la dinamica dell'incidente: il cavo che si sfilaccia, i cosiddetti forchettoni manomessi che hanno impedito alla cabina di fermarsi, e lo schianto fatale. Ma le concause che hanno portato al triste epilogo sono tutte da definire

30 Mag 2021 - 09:32
 © Italy Photo Press

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Perché il cavo si è spezzato? Chi era addetto alla manutenzione? I controlli sono stati fatti tutti regolarmente? In quanti sapevano che i freni funzionavano male? Sono tutti punti oscuri della tragedia del Mottarone anche alla luce della svolta dell'inchiesta: liberi Luigi Nerini (gestore dell'impianto) e Enrico Perocchio (direttore di esercizio); ai  domiciliari solo il reo confesso Gabriele Tadini, caposervizio a un passo dalla pensione. E' stato lui a inserire i "forchettoni" impedendo così ai freni di fermare la cabina. E' l'unica certezza in una catena di responsabilità tutta da definire.  

Perché il cavo si è spezzato? Questo è il rebus principale. La fune traente spezzandosi ha generato l'incidente, che poteva limitarsi a un inconveniente poco più che di routine se i freni avessero bloccato la cabina alla fune portante: i 15 passeggeri a bordo sarebbero stati raggiunti dai soccorritori e calati a terra con le funi. Il cavo, che in montagna viene paragonato a una certezza perché non si strappa mai, invece ha ceduto all'improvviso quando la funivia era a due metri dalla stazione del Mottarone. Individuato il punto del distacco, vicino alla "testa fusa", cioè al carrello della cabina, ci si concentra su due scenari. Il primo ipotizza una lenta usura dell'intreccio di fili metallici spesso più di tre centimetri. Può succedere che avvenga uno sfilacciamento graduale: dovrebbe emergere con i controlli periodici con il magnetoscopio. Lo strumento non riesce ad agire solo in quei 30 centimetri vicini alla testa fusa, dove la verifica è a vista, proprio dove si è verificato lo strappo. La seconda tesi è che la fune da tempo avesse problemi di tensione e a forza di "tira e molla" uno strattone più forte abbia determinato il cedimento.

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I controlli erano regolari?  I controlli di legge si facevano,  è documentato dalle certificazioni, senza le quali non si può mettere in moto l'impianto. Molte di queste verifiche erano affidate a Leitner, un colosso mondiale nel campo degli impianti a fune, che aveva tra i dipendenti anche Enrico Perocchio, direttore di esercizio alla funivia Stresa-Mottarone. Leitner a metà settimana ha diffuso una nota in cui elenca gli interventi fatti negli ultimi mesi; il documento si chiude con questa frase: "Invece i controlli giornalieri e settimanali previsti dal regolamento di esercizio e dal manuale d'uso e manutenzione sono in carico al gestore". Cioè: l'azienda a cui era affidata la gestione della sicurezza, e che come consulenza forniva anche il direttore di esercizio, prende le distanze dalle verifiche quotidiane. Venivano fatte? Qui torna la responsabilità di Tadini, proprio perché pare che la rottura sia avvenuta in una arte (la testa fusa) che può essere controllata solo a vista. Ragione per cui il ministero ha disposto che ogni 5 anni venga tagliata e rifatta. Fra i compiti del caposervizio c'è anche il controllo trimestrale di questo elemento, che dev' essere fatto seguendo una procedura ben definita. L'aveva fatto? 

Quanti sapevano del malfunzionamento dei freni? Per ammissione dello stesso Tadini anche Nerini e Perocchio erano a conoscenza dei forchettoni inseriti per raggirare il problema dei freni. Anche gli operai che sono stati sentiti dai carabinieri come persone informate sui fatti hanno ammesso di sapere che si usavano i forchettoni, ma non è detto che si sapesse quale fosse il reale rischio di compiere una operazione di questo tipo. Se dunque tutti, o quasi, i dipendenti della Ferrovie del Mottarone srl sapevano, molti meno erano a conoscenza degli effetti. E proprio questi finiranno sul registro degli indagati: se erano in grado di capire quale utilizzo fosse lecito (solo quando la cabina è ferma in stazione) e quale illecito per i forchettoni perché non sono intervenuti?  Secondo i carabinieri, poi, almeno una persona si alternava con Gabriele Tadini (il caposervizio) nello svolgere quelle operazione di blocco dei freni. Tadini annotava sul registro di giornata che andava tutto bene anche quando non era così. Il nome era il suo, la firma non sempre. Si presume che a volte qualcuno siglasse al suo posto il documento. 

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