Francesco Verduci - che si professa innocente - a maggio disse al telefono: "Con due omicidi cosa mi fanno?". Un delitto, quello di Maria Luigia Borrelli, che porta con sè suicidi e misteri.
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Fortunato Verduci, il carrozziere genovese 65enne indagato per l'omicidio di Maria Luigia Borrelli, avvenuto a Genova il 5 settembre 1995 è stato intercettato a maggio mentre parlava coi colleghi nell'officina dove lavora. L'uomo, che al momento del dialogo è consapevole che si sta indagando su di lui, parla del caso coi colleghi. In particolare, uno gli chiede: "Ma perché l'hai ammazzata?". "Per passatempo, come un altro", risponde Verduci, per poi domandare: "Con due omicidi cosa ti fanno?". Lo riporta il Corriere della Sera, che cita i giornali locali e che specifica che "su questi possibili ulteriori sviluppi ora indaga la squadra mobile che sta passando al setaccio altri omicidi compiuti in questi anni a Genova e ancora non risolti".
Il 5 settembre 1995, a Genova, un'infermiera di 42 anni, Maria Luigia Borrelli, fu massacrata con un trapano piantato nella gola nel basso dove si prostituiva. Dopo 29 anni, è arrivata una svolta. Per quell'efferato omicidio oggi è indagato, appunto, Verduci. Per lui l'accusa è omicidio e rapina perché Maria Luigia, dopo esser stata ammazzata, è stata anche rapinata.
Nel corso di questi 29 anni l'inchiesta è stata più volte riaperta e archiviata. Il primo a essere sospettato fu il muratore Ottavio Salis, proprietario del trapano che frequentava il basso perché stava eseguendo alcuni lavori di ristrutturazione. Salis si uccise il 14 settembre 1995 lanciandosi dalla Sopraelevata il giorno prima che i risultati di laboratorio certificassero la sua estraneità al delitto. E non fu l'unico suicidio collegato a quella morte. Adriana Fravega, ex prostituta e proprietaria del basso dove Borrelli si prostituiva, si uccise qualche mese dopo, il 25 marzo 1996, con un mix di barbiturici. Era sta lei a indicare Salis come possibile assassino. E infine ha cercato e trovato la morte anche Roberto, figlio di Luigia Borrelli, che si gettò dal ponte monumentale 10 anni fa.
Le ultime notizie ufficiali sulle indagini relative al delitto del trapano risalivano a un anno fa, quando la comparazione del Dna aveva escluso la responsabilità dell'ultimo - in ordine di tempo - dei sospettati del delitto, un ex primario in un ospedale genovese morto nel 2021. E arriviamo a oggi: la pm Patrizia Petruzziello, che coordina la squadra mobile genovese, ha inviato l'arma del delitto, il trapano, al gabinetto della polizia scientifica di Roma. Gli esperti hanno estrapolato altro Dna dai reperti che erano già stati presi all'epoca, con più marcatori, quindi più completo. E così si è arrivati al carrozziere che oggi è indagato.
Per il giudice che ha fatto sua la ricostruzione degli investigatori il movente del "delitto del trapano" è stata la rapina, reato ormai prescritto ma non è prescritto l'omicidio aggravato in questo caso dai futili motivi e dalla crudeltà. Su questa seconda aggravante in particolare si sofferma il gip Alberto Lippini. "Sicuramente - ha scritto - siamo di fronte a una situazione di overkilling, ossia a una modalità di esecuzione del fatto con 'tecnica ridondante' ossia l'utilizzo di più modalità idonee a causare la morte" e cioè "pestaggio con pugni e colpi manuali, utilizzo dei frammenti di porcellana di un posacenere, utilizzo di uno sgabello in legno per fracassare il cranio, utilizzo del trapano per perforare la vittima in zone vitali quali il petto e il collo con macabra ferocia". A Borrelli sono stati praticati "non uno bensì quindici buchi", ha ricordato. "È chiaro che il trapanamento era idoneo di per sé a cagionare la morte, ma l'utilizzo di questo strumento per ben quindici volte sul petto e sul collo della vittima dice che soggettivamente l'intento dell'autore era quello di arrecare dolore alla vittima e di vederla soffrire fino all'ultimo istante della sua vita". Ma per il giudice non è possibile arrestare il carrozziere a 29 anni dal delitto di cui lo ritiene "colpevole".
Secondo il gip infatti non c'è il rischio di reiterazione del reato visto che "sono passati quasi 30 anni", Verduci è "incensurato" e potrebbe essere "in astratto una persona diversa". E non ci sono elementi concreti per dire il contrario. "Non si è mai dato alla fuga", ha ricordato inoltre né infine "il fatto che il Verduci sia fortemente dedito al gioco non dimostra certo che lo stesso si trovi attualmente in una situazione personale di incapacità di controllo dei propri impulsi e quindi in una situazione criminogena". Sulle esigenze cautelari la procura ha fatto appello e il tribunale del Riesame ha fissato l'udienza il 23 settembre.
"In attesa di studiare le carte in maniera più approfondita l'impressione è che tutto ruoti attorno alla prova scientifica del Dna. Non c'è un quadro indiziario di contorno. Semplicemente è tutto legato all'acquisizione e alla valutazione di questi campionamenti", aveva commentato mercoledì l'avvocato Nicola Scodnik che insieme al collega Giovanni Ricco ha assunto la difesa di Verduci. Quest'ultimo ai suoi legali ha detto di "essere totalmente estraneo ai fatti" e "sulla base di questo affronteremo un percorso difensivo anche in vista dell'udienza che ci sarà il 23 settembre".