Dopo aver esplorato per qualche mese la scena sadomaso del capoluogo lombardo, vi proponiamo le storie di alcuni protagonisti
di Olga BibusFoto: Guido Cantone - modella: Marta © tgcom24
Silvia, come Tsuki, prova appagamento nel supplizio. Le piace essere frustata, sentire il nylon della sferza lacerare la pelle. È capace di sopportare centinaia di colpi. I solchi sulle natiche e sulle cosce li considera quasi dei cimeli. Dopo una sessione, per giorni si accarezza con soddisfazione le ferite. Mark, invece, più che ricevere dolore, ama provocarlo. Il mondo del sadomaso l’ha affascinato sin dall’adolescenza, ma per metterci piede ha aspettato i 30 anni. Paura dei pregiudizi, di perdere il lavoro, dell’emarginazione. Quelle di Silvia e Mark sono solo due delle tante storie che abbiamo raccolto esplorando per qualche mese la scena Bdsm di Milano, definita dagli addetti ai lavori "capitale del sadomasochismo italiano".
La storia di Silvia - Ha 20 anni, proprio come Tsuki. Le loro storie hanno diversi punti in comune. Il primo tra tutti è un approccio atipico alla sessualità e il conseguente ingresso nel mondo Bdsm. Silvia è napoletana, ma vive a Milano da un paio d’anni, da quando ha cominciato l’Università. E qui ha iniziato a praticare sul serio il sadomasochismo. È una sub, nel gioco interpreta la parte della schiava.
La incontriamo la prima volta durante un play party, feste sadomaso in cui è concesso ai partecipanti giocare tra di loro. Lei è sdraiata supina su una gabbia, gambe all’aria. La parte superiore del suo corpo è cinta da un corsetto, più in basso un intimo velato lascia poco all’immaginazione. A fianco Ayzad, un esperto del Bdsm, considerato il guru della scena milanese, un maestro con la frusta. In quell’occasione lui le infligge decine e decine di frustate. A ogni schiocco della frusta le sue cosce e le sue natiche, già piene di lividi, si riempiono di solchi e ferite. L’istinto di una persona estranea al mondo sadomaso, che i bdsmer definiscono “vanilla” (termine scherzoso usato dai praticanti per indicare chi fa esclusivamente sesso normale) è quello di andare a salvarla, di sottrarla a quelle atroci sofferenze.
In realtà Silvia non vuole essere salvata, di fronte l’esitazione del suo padrone è lei a chiedergli di continuare con le frustate. Questa è la Silvia, nome di fantasia, che conosciamo la prima volta. Quella che incontriamo qualche tempo dopo per l’intervista è una ragazza pacata, acqua e sapone, sembra molto più giovane della Silvia di qualche sera prima. È ironica e divertente. All’inizio un po’ diffidente perché teme di vedere violata la sua vita privata.
A differenza di Tsuki lei tende a separare le due vite, quella di studentessa universitaria e quella di schiava sadomaso. Paura dei pregiudizi. Allo stesso tempo però non si vergogna della sua scelta. “Le persone di cui mi fido, quelle un po’ più aperte di mente lo sanno. L’ho detto persino a mia madre e a mio fratello. Mio padre invece non lo sa, è molto cattolico”, racconta la ragazza.
A introdurla nel mondo sadomaso è stato il suo ex fidanzato quando era ancora un’adolescente. “Era il mio primo ragazzo – dice Silvia – siamo stati insieme cinque anni. Lui però aveva una sorta di doppia personalità. Diceva che aveva dentro un animale che si impossessava di lui all’improvviso e quando succedeva avevamo dei rapporti più aggressivi e a me piaceva”.
Silvia non sa se il suo ex lo facesse per gioco o per un disturbo reale, sa soltanto che quell’approccio atipico alla sessualità l’ha portata a scoprire il mondo Bdsm. “Con lui ho scoperto e esplorato la mia sessualità – racconta la ragazza - ma non credo che il suo comportamento abbia in qualche modo influenzato la mia passione per il sadomasochismo. Al massimo, grazie a questa relazione, ho capito cosa mi piaceva davvero nella sfera sessuale”.
Con il senno del poi è convinta di avere avuto una tendenza masochista sin dall’infanzia. “Da piccola, per esempio, giocavo da sola a fare deprivazione sensoriale: immaginavo di venire immobilizzata a causa di un veleno. Solo che allora non riconducevo questa indole a un impulso sessuale. Crescendo ho capito di essere sadomasochista. Il Bdsm per me è come un sentimento che è cresciuto con il tempo, ma che ci è sempre stato, ha sempre fatto parte di me”.
Silvia è una sub, ma non esclude in futuro la possibilità di mettersi dall’altro lato della frusta. E quando le chiediamo come è possibile che lei cerchi e provi piacere dal ricevere delle frustate così forti da lacerare la pelle risponde: “Lo fai perché ti fa stare bene, ti piace, non senti il bisogno di smettere. Non posso negare che si soffre, ma si provano delle reazioni contrastanti: cominci a sudare, a tremare, ti abbandoni totalmente alle emozioni. La perdita dei sensi che provi è tale da non essere paragonabile a nessun’altra esperienza sessuale. Se sei predisposto diventa davvero eccitante. Una volta mentre venivo frustata ho persino avuto un orgasmo”.
Per quanto riguarda le ferite la giovane ammette che “fanno male, ma fanno anche stare bene”. A volte si sorprende ad accarezzarle e a ricordare le sensazioni vissute quando le venivano inflitte le frustate. “E poi ti assicuro che il dolore delle ferite il giorno dopo è meno destabilizzante di un ciclo mestruale”, scherza.
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La storia di Mark - L’ingresso nel mondo Bdsm non è sempre legato a un approccio anomalo o traumatico alla sessualità. Non si tratta di una regola generale, l’universo del sadomasochismo è variegato, fatto di tante storie, ognuna singolare. C’è però una costante che abbiamo riscontrato tra gli intervistati: secondo loro il Bdsm non si sceglie, ma fa parte dell’individuo. È un’inclinazione, una passione, un impulso, ma non è una scelta. Per alcune persone i ricordi legati al sadomasochismo risalgono all’infanzia, per altri almeno all’adolescenza. “Ho capito di avere la passione per il Bdsm quando avevo 13/14 anni e ho cominciato a scoprire la sessualità. Navigavo su Internet e quando incappavo in immagini di spanking (dall’inglese sculacciata, ndr) pensavo ‘beh questo mi potrebbe piacere”, racconta un uomo di 30 anni in giacca e cravatta che di giorno lavora nell’alta moda milanese e di notte, con lo pseudonimo di Mark, è un Dom che si diverte a maneggiare frustini.
Mark però ha impiegato diversi anni a trovare il coraggio di entrare nella scena Bdsm. Anche se sapeva di avere questa passione sin dall’adolescenza, ha cominciato a frequentare locali Bdsm da poco più di un anno. “Ho esitato perché non conoscevo le persone giuste, ma soprattutto perché avevo paura di perdere il lavoro, paura dei pregiudizi”. Mark è ligure, ma vive e lavora a Milano da diversi anni. Nel capoluogo lombardo ha trovato il coraggio di smettere di reprimere la sua pulsione. “Milano è decisamente la capitale del Bdsm italiano, ci sono molti eventi e occasioni per conoscersi”.
Per il ragazzo però è molto importante tenere separate le due vite. Ha due profili Facebook, uno come Mark e uno col suo vero nome, due indirizzi di posta elettronica. “A volte essere due persone in una è un casino – spiega - ma non potrei fare altrimenti. Ho notato che la doppia vita è molto diffusa tra chi pratica Bdsm. Molto spesso per necessità, a volte anche per scelta: c’è chi preferisce separare il gioco dalla vita reale”. Nella quotidianità il ragazzo si trova diverse volte a dover fare i conti con il suo alter ego Bdsm. Quando in ufficio si scopre a disegnare flogger (strumenti di fustigazione) su un blocco note durante una riunione, quando deve aprire la mail e per un lapsus digita sulla tastiera l’indirizzo da bdsmer.
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Per dare sfogo alla sua passione Mark ha creato un blog, "Parole per arrossare", in cui racconta storie di sadomasochismo. “Parlavo con due amiche lesbiche, estranee al Bdsm, e cercavo di spiegare loro cosa fosse lo spanking. Siccome non riuscivo a trovare le parole giuste per descriverlo ho pensato ‘ora lo scrivo’, è così che è nato il mio primo racconto”. Quando gioca Mark assume un ruolo dominante, lo stesso però anche di giorno quando lavora. Nell’azienda in cui presta servizio si trova ad avere una posizione di controllo.
Gli chiediamo allora cosa ne pensa della teoria dell’inversamente proporzionale, una credenza diffusa sul sadomasochismo per cui una persona tende ad assumere nella sfera sessuale il ruolo contrario rispetto a quello che ha nella vita. Quindi più un individuo è succube e sottomesso nella vita reale e più tenderà a essere padrone nel sadomaso. “Sono un esempio di quanto questa teoria sia arbitraria – dice – potrebbe valere per alcune persone, ma non per tutti. Ad esempio per me no. Io sono dominatore sia nella nella vita diurna che in quella Bdsm anche se in maniera diversa. In verità più che dom mi reputo un educatore. Infatti mi piace più la brat che la schiava”.
La brat è una sub che assume il ruolo della bambina viziata da educare piuttosto che della schiava da sottomettere. Nel Bdsm Mark preferisce questo tipo di rapporto rispetto a quello classico di dominazione e sottomissione. “Anche nella mia vita diurna sono quello che rompe le scatole quando i collaboratori non fanno le cose giuste. E mi fa sorridere quando poi li sento mormorare ‘sembra che ci prende gusto’, mi verrebbe da rispondere ‘sapeste quanto’”.