Il conduttore, nella bufera per aver invitato in studio il figlio del "capo dei capi", rimanda al mittente ogni accusa
"Se Adolf Hitler risalisse per un giorno dall'inferno e mi offrisse di intervistarlo, temo che dovrei rifiutare. Vedo, infatti, che dopo il 'caso Riina' vengono messi in discussione i parametri di base del giornalismo". Bruno Vespa, nella bufera per l'intervista al figlio di Totò Riina, si difende dalle accuse e contrattacca in una lettera inviata al Corriere della Sera.
"Aveva ragione nel gennaio del '91 il governo Andreotti a voler bloccare (senza riuscirci) la mia intervista a Saddam Hussein alla immediata vigilia della prima Guerra del Golfo perché il dittatore iracheno era un nostro nemico?", si chiede il giornalista.
E ancora, "chi ha intervistato per la Rai il dittatore libico Gheddafi o quello siriano Assad avrebbe dovuto puntare sui crimini commessi da entrambi invece di focalizzare il colloquio sulla loro politica estera?".
Vespa ricostruisce poi quanto accaduto. "Dopo aver letto il libro ho informato quell'eccellente professionista che è il nuovo direttore di Raiuno che avremmo potuto mostrare per la prima volta il ritratto della più importante famiglia mafiosa della storia italiana vista dall'interno. Decidemmo allora di far seguire all'intervista un dibattito con parenti delle vittime di Riina e con dirigenti di associazioni che coraggiosamente si battono contro la mafia. Così è avvenuto".
"In coscienza - conclude Vespa - credo di aver mosso al giovane Riina le obiezioni di una persona di buon senso. In ogni caso il tema è chi si può intervistare nella Rai di oggi".