Il sindaco: "L'immobile deve essere restituito alle famiglie che ne hanno davvero diritto. Va ripristinata la legalità". La Corte dei Conti ha calcolato un danno erariale di 4 milioni e 600mila euro
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La scritta CasaPound è stata rimossa dalla facciata della storica sede del movimento di estrema destra a Roma. A toglierla sono stati gli stessi attivisti in vista dell'operazione di rimozione prevista mercoledì mattina per lo scadere del tempo concesso dal Campidoglio. Poco sopra è stato esposto uno striscione con la scritta: "Questo è il problema di Roma". "E' solo l'inizio. Ora va sgomberato l'immobile", twitta il sindaco Virginia Raggi.
"La scritta tornerà quando Raggi cadrà, ovvero a breve", chiosano i militanti. E la sindaca li sfida: "E' solo inizio. Ora va sgomberato l'immobile e deve essere restituito alle famiglie che ne hanno davvero diritto. Va ripristinata la legalità. Fino in fondo". E una volta recata di persona a via Napoleone III ha chiesto ai responsabili di Casapound di ritirare lo striscione aggiungendo: "Libereremo tutto ciò che c'è da liberare in questa città".
Anche il 25 luglio la prima cittadina era andata di persona a notificare ai responsabili romani di Casapound il provvedimento di rimozione della scritta in marmo dallo stabile occupato dal 2003 nel centro di Roma. "Una scritta abusiva: o la tolgono o lo faremo noi in maniera coatta", aveva detto riprendendosi in un video davanti allo stabile. Un atto amministrativo quello della Raggi dal forte sapore politico, soprattutto alla luce del fatto che lo stabile non compare tra quelli da sgomberare prioritariamente secondo la lista stilata in prefettura e che ha già portato a due sgomberi e relative polemiche.
Su CasaPound pende la procedura di sgombero avviata il 19 luglio dall'Agenzia del Demanio con tanto di denuncia alla Procura di Roma e il danno erariale calcolato dalla Corte dei Conti di ben 4 milioni e 600mila euro per omessa disponibilità del bene e mancata riscossione dei canoni da parte di alcuni dirigenti dell'Agenzia del Demanio e del Miur.