I supremi giudici si sono espressi sul caso di una guardia giurata che venne licenziata perché al telefono insultò la società vigilanza per la quale lavorava. Sarà risarcito
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"Il lavoratore non ha l'obbligo di stimare il datore". E' quanto sottolinea la Cassazione, escludendo che fosse da licenziare una guardia privata, stizzita perché non riusciva a farsi dare il Cud. L'uomo, parlando con il centralino della società vigilanza per la quale lavorava, aveva esclamato "che azienda di m..." in presenza anche di altre persone e fu poi licenziato. Per la Suprema Corte ingiustamente e quindi sarà risarcito.
Per i supremi giudici, prima di licenziare qualcuno perché in un momento di rabbia e disappunto si è lasciato andare a insulti nei confronti del datore di lavoro o dell'azienda che lo ha assunto, occorre controllare se il contratto di categoria prevede tra gli obblighi dei dipendenti il dovere "di stima" nei confronti del datore o dell'impresa. In genere, infatti, i lavoratori sono tenuti solo "all'osservanza dei doveri di diligenza e fedeltà".
Così la Cassazione ha condiviso il parere della Corte di Appello di Roma che nel 2017 aveva dichiarato illegittimo il licenziamento della guardia giurata Massimiliano C. rilevando che "l'espressione utilizzata non appariva suscettibile di arrecare pregiudizio all'organizzazione aziendale in quanto del tutto priva di attribuzioni specifiche e manifestamente disonorevoli tali da determinare il venir meno, ragionevolmente, del rapporto fiduciario o di essere lesiva del decoro dell'impresa pur avendo tale espressione usata travalicato i limiti della correttezza".
Per effetto della riforma Fornero del 2012, però, la guardia giurata - sentenza 12786 - non sarà reintegrata nel posto ma otterrà solo un indennizzo risarcitorio.