E' quanto si legge nell'atto di archiviazione di una denuncia per diffamazione online: "Le frasi denigratorie godono di scarsa credibilità, dunque non ledono la reputazione altrui"
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Proferire insulti sui social network non costituisce reato, ma rappresenta tutt'al più un "modo di sfogarsi o di scaricare lo stress". E' quanto ha stabilito la Procura di Roma nella richiesta di archiviazione di una denuncia di una ragazza per diffamazione online. "Le espressioni denigratorie costituiscono un modo efficace di sfogare la propria rabbia e godono di scarsa credibilità", si legge nell'atto.
A sporgere denuncia è stata una ragazza romana, definita da un amico "una malata mentale, una bipolare che si imbottisce di psicofarmaci" e figlia di un padre "ubriaco che la maltratta". L'autore delle offese ha poi pubblicato su Facebook una lunga lettera indirizzata alla madre della ragazza, in cui scriveva: "La colpa del malessere di tua figlia non è mia, ma tua e di tuo marito, perché l'avete trascurata e maltrattata".
Per la Procura, però, la notizia "è infondata, perché quanto si scrive su Facebook non ha portata diffamatoria agli occhi di terzi". Nella motivazione si legge che "i social sono popolati dai soggetti più disparati che esternano il proprio pensiero senza l'autorevolezza delle testate giornalistiche e di fonti accreditate". In altre parole "non si deve dar peso a ciò che si legge sui social". Ora sul caso si dovrà pronunciare il gip, visto che la donna si è opposta alla richiesta di archiviazione delle denuncia.