Nel gennaio del '93 con la squadra Crimor catturò Totò Riina nel suo covo. Oggi alleva rapaci in una casa famiglia alle porte di Roma e aiuta i minorenni in difficoltà
Il capitano Ultimo, che con la squadra Crimor nel '93 catturò Totò Riina, oggi è colonnello del Noe e allevatore di rapaci in una casa famiglia alle porte di Roma dove aiuta i minorenni in difficoltà. Ma Sergio De Caprio ha risalito la china dopo un periodo nero, prima il processo nel quale fu travolto (e poi assolto) in merito alla mancata perquisizione del covo del capo dei capi di Cosa nostra e poi la malattia. A salvarlo gli Apache e le aquile.
(Nella foto l'attore Raoul Bova nel ruolo del capitano Ultimo nella famosa serie tv)
Sul Corriere della Sera, il capitano Ultimo ha raccontano come è avvenuto il suo primo incontro con il capo Apache delle bianche montagne Ronnie Lupe. "Gli Apache delle bianche montagne. Sono sempre stati un riferimento per me, in certi momenti duri ho pensato molto alle loro tecniche di combattimento. Al loro modo di apparire e svanire, di essere pochi e sembrare tanti. Poi un giorno ho visto un indirizzo su una rivista e ho scritto al loro capo". Scrisse una lettera sul dolore e quella vita sempre a caccia di assassini e latitanti, della tristezza che provò quando con gli attentati a Borsellino e Falcone "andarono via un pezzo grande di speranza e di libertà". Eppure "nessuna tragedia sarà mai paragonabile al genocidio della nazione Apache".
Ronnie Lupe rispose e da quel momento tutto cambiò. Il capo Apache venne anche in Italia, osservò la squadra di Ultimo e dopo due giorni di silenzio disse: "Siete come questa mano: aperta sono cinque dita, chiusa la forza di un pugno". Parlò delle sofferenze della sua gente e della famiglia della aquile a cui lui chiede sempre un parere.
Parole che tornarono utili al colonnello del Noe, in un periodo di dolore ("sono finito in ospedale e nessuno capiva cosa avessi", dice) in sogno, una notte, mi apparvero molti falchi che invece di beccarmi mi accarezzavano: era un messaggio di Apache.
Da quel giorno Sergio De Caprio decise di fare un corso dai falconieri, prese un falco, poi passò alle aquile. Oggi ha Wahir e Lacrima: "Due metri e più di apertura alare, la potenza, la bellezza e la perfezione messe assieme". "Quando volano volo con loro, li vedo planare e plano con loro, quando arrivano sento addosso il soffio del vento. Se un giorno volessero andare sono liberi di farlo, finora sono sempre tornati".
Nella casa famiglia nella Tenuta della Mistica alla periferia est della Capitale si occupa di aquile, falchi e minorenni in difficoltà: "Qui creiamo sopravvivenza", racconta lui mentre infila il guanto di cuoio per tenere sul braccio le sue aquile. "Per me è una preghiera fare giustizia senza chiedere niente in cambio, è una preghiera fare il prete-carabiniere cercando di creare tutta l'eguaglianza e la bellezza possibile nella sopravvivenza di chi viene alla nostra porta e la trova aperta".