Il responsabile del San Camillo si scusa con i parenti di Marcello Cairoli, ma spiega che il PS non è attrezzato per i malati terminali
L'Ospedale San Camillo di Roma racconta la propria versione dei fatti sul caso di Marcello Cairoli, l'uomo morto al Pronto Soccorso senza alcuna dignità, dopo 56 ore trascorse su una barella in mezzo a tossicodipendenti e senzatetto. A prendere la parola è il direttore sanitario della struttura capitolina Luca Casertano che al "Messaggero" spiega: "Ci sono percorsi differenti per i malati terminali che dovrebbero essere accompagnati nella fine dell'esistenza o da un servizio di assistenza domiciliare oncologica o negli hospice. Qualcuno ha dato indicazioni sbagliate alla famiglia".
Casertano aggiunge: "Vorrei chiedere scusa alla famiglia. La maggior parte dei pronto soccorso italiani non sono strutturati per accogliere persone a fine vita" perché sono pensati "per salvare vite, non per occuparsi di un malato terminale".
La famiglia di Cairoli su questo punto specifica, però, che i medici avevano avvisato della gravità della situazione, ma non che la fine del congiunto fosse così imminente. Sul "Corriere della Sera" è il figlio di Marcello a raccontare: "Ho vegliato mio padre seduto sul pavimento di quel girone infernale, scacciando chi si fermava a guardare la sua agonia".
A peggiorare ulteriormente la situazione l'indifferenza di un infermiere che, indicando il letto del paziente, avrebbe suggerito al medico di turno di non soffermarsi dicendo che "quello è un destinato".
Cosa avrebbero dovuto fare allora i familiari di Cairoli? Sempre secondo il direttore sanitario Casertano, avrebbero dovuto "attivare un percorso differente che può richiedere anche quindici giorni di anticipo. Perché un malato terminale in pronto soccorso proprio non dovrebbe proprio arrivarci".