© Associazione Luca Coscioni
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"Il lapidario divieto di aiutare taluno a procurarsi la morte - si legge - contenuto nella norma coniata in un periodo storico risalente in cui lo scopo unico era tutelare ad ogni costo la vita intesa come bene sociale, va coniugato col diritto ad una vita dignitosa"
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Il suicidio assistito di Davide Trentini, massese di 53 anni malato di sclerosi multipla deceduto in una clinica svizzera il 13 aprile 2017, fu "lecito", perché "frutto dell'autodeterminazione del malato". Trentini voleva infatti "congedarsi da una esistenza che era ormai solamente indicibile sofferenza". E' la motivazione della sentenza con la quale i giudici di Genova hanno assolto ad aprile Marco Cappato e Mina Welby.
"Il lapidario divieto di aiutare taluno a procurarsi la morte - si legge - contenuto nella norma coniata in un periodo storico risalente in cui lo scopo unico era tutelare ad ogni costo la vita intesa come bene sociale, va coniugato col diritto ad una vita dignitosa e col diritto al rifiuto di trattamenti terapeutici a fronte di una malattia che abbia esito certamente infausto".
"Una sentenza chiara, incontrovertibilmente incentrata sulla scelta di libertà del malato", ha detto Filomena Gallo, co-difensore dei due imputati e segretario dell'associazione Luca Coscioni. Delle motivazioni si parlerà sabato, in via XX Settembre alle 11.30 nel corso di un incontro con Cappato che presenterà il referendum per l'eutanasia legale.