Il pm aveva messo a disposizione della difesa e delle parti civili le carte dell'altra indagine sui tentativi, secondo l'accusa, di "manipolare" la 38enne per farle ottenere una perizia psichiatrica
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Nuovi colpi di scena nel corso dell'udienza a carico di Alessia Pifferi, la 38enne condannata in primo grado all'ergastolo per omicidio volontario aggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana nel luglio 2022. La donna, detenuta a Vigevano, non si è presentata in aula facendo valere il "legittimo impedimento". La Pifferi ha motivato la sua assenza perché sarebbe rimasta vittima di un parapiglia con altre detenute, al punto da avere riportato quattro punti di sutura al viso.
Già nell'aprile 2024 Alessia Pifferi aveva detto che mentre si trovava a San Vittore, a Milano, le altre detenute l'avrebbero picchiata, le avrebbero gridato "mostro", "assassina" e "devi morire".
Intanto il pm di Milano Francesco De Tommasi ha depositato nel fascicolo sul caso di Alessia Pifferi anche gli atti del filone bis, chiuso a gennaio, sulle presunte manipolazioni, secondo l'accusa, sugli accertamenti psichiatrici sulla donna. Sono indagati per ipotesi di falso e favoreggiamento la legale dell'imputata, l'avvocata Alessia Pontenani, alcune psicologhe e anche Marco Garbarini, psichiatra e consulente della difesa.
Con questa iniziativa, in sostanza, il pm, dopo aver dato avviso alle parti del deposito, ha messo a disposizione di difesa e parti civili nel processo d'appello in corso, sulla morte della bimba di meno di un anno e mezzo, anche quelle carte dell'altra indagine sui tentativi di indirizzare, per l'accusa, pure l'esito della perizia psichiatrica nel primo grado verso un "vizio parziale di mente".
E cioè per farla passare per affetta da deficit cognitivi simulando disturbi mentali, mentre, in realtà, per l'accusa è sempre stata lucida. La perizia stabilì, comunque, che la donna era pienamente capace di intendere e volere e fu condannata all'ergastolo.
Il 10 febbraio, però, davanti alla Corte d'assise d'appello di Milano il processo si è riaperto a sorpresa coi giudici che, accogliendo la richiesta della legale Pontenani, hanno disposto una nuova perizia psichiatrica sulla donna: "L'ausilio di esperti e specialisti" è "necessario e imprescindibile", hanno scritto i giudici, in quanto il "compendio dibattimentale" appare "incompleto, lacunoso oltre che, a tratti, contraddittorio".
La Procura generale aveva già quegli atti del filone bis trasmessi dal pm, non utilizzati al momento nel processo d'appello. Difesa e parti civili, ossia la nonna e la zia di Diana, potrebbero sollevare questioni in aula - da fronti contrapposti - su quegli atti entrati nel fascicolo e ora a loro disposizione per l'appello. Le parti civili, con l'avvocato Emanuele De Mitri, hanno infatti chiesto che quegli atti a loro disposizione entrino nel processo d'appello e che ne tengano conto, dunque, gli esperti per la nuova perizia psichiatrica e i giudici.
I giudici della Corte di Assise d'appello di Milano hanno però rigettato per "irritualità, irrilevanza e non decisività" l'istanza avanzata dal legale di parte civile. L'avvocato Emanuele De Mitri, che assiste la mamma e la sorella di Pifferi, aveva infatti chiesto di acquisire gli atti, depositati dal pm Francesco De Tommasi, relativi alle indagini per falso e favoreggiamento a carico dell'avvocata Alessia Pontenani, di alcune psicologhe e anche di Marco Garbarini, psichiatra e consulente della difesa, i quali secondo l'accusa avrebbero "manipolato" la 38enne per farle ottenere una perizia psichiatrica.
La Corte, rigettando la richiesta, ha spiegato che si tratta di "fonti di prove già note alla pubblica accusa di primo grado eppure mai versate in atti, mai sottoposte al vaglio del primo giudice". Inoltre "le pretese 'suggestioni', il supposto esito 'artefatto' del test di Wais" non hanno "in alcun modo condizionato" la perizia di primo grado "né potranno mai condizionare l'esito della disposta perizia collegiale".
Si torna in aula il 2 luglio per l'esame dei periti, i quali a partire dal 26 marzo avranno 90 giorni di tempo per valutare se Pifferi fosse capace di intendere e volere o meno al momento dei fatti. In primo grado, esaminata dallo psichiatra Elvezio Pirfo, era risultata capace.