Il medico era accusato della morte di due pazienti, di 61 e 79 anni, ricoverati a marzo 2020 nella prima drammatica ondata nel Bresciano
La corte d'assise di Brescia ha assolto dall'accusa di omicidio volontario il medico Carlo Mosca. Il primario sospeso del pronto soccorso dell'ospedale di Montichiari, in provincia di Brescia, era a processo per la morte di due pazienti Covid deceduti a marzo 2020 nella prima ondata. La sentenza è arrivata dopo due ore di camera di consiglio. Disposta l'immediata cessazione della misura degli arresti domiciliari. Disposta anche la trasmissione degli atti in procura per calunnia nei confronti dei due infermieri che avevano accusato il medico.
Il pm aveva chiesto 24 anni di carcere per omicidio volontario, la difesa l'assoluzione sostenendo che "dietro questa vicenda ci sia tutta una macchinazione". Erano state queste le due verità raccontate nell'ultima udienza del processo a carico di Mosca. Ai domiciliari dal 25 gennaio 2021, il medico era accusato della morte di due pazienti, di 61 e 79 anni, ricoverati a marzo 2020 nella prima drammatica ondata Covid nel Bresciano. Secondo l'accusa il medico avrebbe somministrato Propofol e Succinilcolina, "farmaci incompatibili con la vita" che andrebbero utilizzati prima dell'intubazione di un paziente. Intubazione che nei casi in questione non è mai stata eseguita. "Nessuno ha visto Mosca somministrare i farmaci ma l'intercettazione ambientale del 2 luglio 2020, quando Mosca risponde 'eh si'' a chi gli chiede se avesse usato quei farmaci, è stata ritenuta un'ammissione. Ed è alla base, insieme alla presenza del Propofol nel corpo di uno dei cadaveri riesumati, della richiesta d'arresto", ha detto in aula il pm Federica Ceschi.
A denunciare il caso era stato un infermiere, ma Mosca ha sempre parlato di complotto: "Io non ho somministrato il Propofol. Qualcuno ha voluto farmi del male e può averlo iniettato a paziente già morto", è stata la tesi difensiva del medico. Una "spiegazione fantasiosa, una assurdità", per il pm Ceschi, secondo cui "l'unico che ha avuto lo spazio e il tempo per iniettare il Propofol è stato Mosca".
La difesa del medico sospeso del Pronto soccorso di Montichiari aveva chiesto invece l'assoluzione: "Siamo davanti a una serie di prove costruite. A partire dalla chat tra gli infermieri che si scambiano una foto con fiale di farmaci gettate in un cestino", ha detto l'avvocato Elena Frigo nell'ultima udienza. "Due infermieri lo accusano ma in aula si contraddicono, mentre un intero reparto sta dalla parte di Mosca e non crede alle maldicenze diffuse dai due infermieri. Non sappiamo che cosa abbia spinto le due persone a dire quelle cose. Ma riteniamo che l'ipotesi accusatoria sia fantascientifica", ha proseguito il legale. Per l'avvocato Michele Bontempi, del collegio difensivo, "quelle dei due pazienti sono state morti naturali. Avevano plurime patologie ed è esclusa la morte per causa tossica. In un paziente non sono nemmeno state trovate tracce di farmaco, nell'altro ci sono tracce di Propofol anche se non ci sono prove che sia stato l'imputato a somministrarlo". La corte, alla fine, ha dato ragione agli avvocati del primario.