Con oltre 35mila iscritti la pagina, nata a metà marzo, raccoglie e vaglia le testimonianze di chi ha perso un caro per Covid-19: "Niente contro chi combatte in prima linea, ma chi dall'alto ha sottovalutato la situazione dovrà assumersi le sue responsabilità"
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"Siamo oltre 35mila iscritti alla pagina Facebook 'Noi denunceremo': se anche solo la metà avesse perso un parente per Covid-19, avremmo raggiunto i numeri ufficiali dei decessi. Ma sappiamo che le vittime sono molte di più e nel loro nome ci aggreghiamo da tutta Italia e chiediamo giustizia, non vendetta". E' stato il dolore per la perdita del papà, ricoverato in un centro privato riabilitativo della Bergamasca e poi deceduto a metà marzo per coronavirus, che ha spinto Luca Fusco, commercialista 58enne di Bergamo, a esporre sui social la sua storia per trovarne tante altre simili. "Tutte le nostre testimonianze - precisa - sono a disposizione della magistratura; qualcuno dovrà pagare nelle sedi opportune per questa tragedia. Niente contro chi combatte in prima linea, operatori sanitari inclusi, ma dall'alto la situazione è stata sottovalutata e il sistema non ha retto".
"Noi denunceremo": il gruppo si presenta con un nome bellicoso?
"E' un nome di pancia; ci è venuto in mente dopo la morte di mio padre per coronavirus. La cosa più dura da affrontare è stata non poter celebrare il funerale e dover lasciare mia madre da sola, in quarantena e senza conforto per la perdita del marito dopo 60 anni di matrimonio. Quella sera ero con mio figlio che riflettevo sulla situazione e ci è venuto in un minuto; il minuto dopo avevamo creato la pagina Facebook. Ma le finalità, come spieghiamo anche in due video, non sono bellicose. Chiediamo giustizia, non vedetta. Non abbiamo fini politici, vorremmo che chi ha sbagliato nella valutazione del problema paghi, nelle sedi opportune e quando sarà il tempo. Non vogliamo tribunali popolari. Il nome può essere equivocato, ma non avrebbe senso cambiarlo ora ".
In un paio di settimane il gruppo ha raggiunto oltre 35mila follower. Se lo aspettava?
"Avevo il sentore, vivendo a Bergamo, che la vicenda di mio padre potesse essere comune a tante altre famiglie, ma non immaginavo di raggiungere questi numeri. Gli iscritti alla pagina non sono solo parenti delle vittime di questa emergenza sanitaria. Da tutta Italia ci arrivano messaggi di solidarietà e sostegno. Io ripeto a tutti di stare a casa, di seguire tutte le direttive perché è una guerra e quello che viviamo qui non può immaginarlo nessuno, neanche a Milano".
I grandi numeri raggiunti rischiano di fare allontanare il gruppo dal suo obiettivo?
"C'è una squadra di 15 volontari, impegnata 10 ore al giorno, che valuta tutte le testimonianze che ci arrivano, verifica i profili e filtra tutti i post, eliminando quelli politici, diffamatori. E' diventato un lavoro. Onestamente, in partenza non ce lo aspettavamo. Ma un primo obiettivo lo abbiamo raggiunto: la procura di Bergamo indaga su quanto è accaduto all'ospedale di Alzano. L'ipotesi sul fascicolo contro ignoti è di epidemia colposa. Noi non sappiamo chi sono i responsabili, né è nostro compito individuarli, ma abbiamo storie circostanziate, se possono servire alle indagini. Alzano era una bomba a orologeria pronta a esplodere; a un passo dall'esplosione poteva essere disinnescata, è stata lasciata esplodere, a mio giudizio".
Come continuerà questa battaglia?
"Nella raccolta delle storie, tutte circostanziate, che mettiamo a disposizione della magistratura. Più siamo, più possiamo farci sentire e possiamo portare avanti le nostre ragioni. Se poi si arriverà nell'aula di un tribunale sarà necessario dare vita a un'associazione che possa rappresentarci. Non ci interessano i risarcimenti, vorremmo conoscere la verità di quanto è accaduto; vorremmo sapere cosa non ha funzionato e se chi non ha preso decisioni in tempo lo ha fatto perché non informato".