LA VICENDA

Coronavirus, la storia di Luca: "In terapia intensiva come nello spazio, circondato da infermieri-astronauti senza volto"

Milanese, 50 anni, si è ammalato assieme a tutta la sua famiglia. Il paziente zero è stata la madre malata di tumore infettata durante una chemio. "Papà lo davano per spacciato, abbiamo fatto una straziante ultima videochiamata"

di Giulia Bassi
09 Mag 2020 - 14:13
 © Tgcom24

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"Io vedevo degli astronauti entrare nella mia stanza d'ospedale. Potrei incontrare per strada il medico che mi ha salvato la vita e non lo riconoscerei". La solitudine dei malati di coronavirus la descrive così Luca Paladini, 50enne milanese, che di Covid si è ammalato così come tutta la sua famiglia: il suo compagno, sua madre e suo padre. E il papà, a un certo punto, è stato in condizioni talmente critiche che un'infermiera gli ha offerto la possibilità di fare l'ultima videochiamata. O, meglio, quella che credevano dovesse essere l'ultima.

Una sfida con la sorte - Se ognuno di noi deve fare i conti con un destino scritto, dietro quello di Luca Paladini, blogger e attivista, si nasconde la mano di un romanziere fantasioso e beffardo, crudele e praticamente insensibile alla pietà. Questa storia, anzi, questa sfida con la sorte, inizia verso la fine di marzo quando al papà di Luca, 84enne, viene la febbre. Vive in casa con la moglie, che non ha e non avrà mai sintomi: solo dopo qualche tempo si scoprirà essere stata lei il "paziente zero" di famiglia, lei che andava in ospedale per fare la chemio. Il classico caso di paziente asintomatico.

Il padre positivo - Dopo giorni di febbre e difficoltà respiratorie, il padre di Luca viene portato all'ospedale di Sesto San Giovanni e dimesso dopo sette ore, senza tampone, con una diagnosi che dice semplicemente: bronchite. Ma in un ospedale ci finisce di nuovo dopo 48 ore perché la sua situazione si aggrava: questa volta viene portato, e ricoverato, al San Carlo di Milano dove in 20 minuti la diagnosi è ben diversa: polmonite bilaterale, l'uomo è positivo al Covid. 

Tamponi e telefonate - Di conseguenza anche a Luca (che dopo la prima febbre si era dovuto occupare del padre non autosufficiente visto che la badante non se la sentiva più di rimanere) e sua madre, che ha condiviso la casa con un positivo, viene fatto il tampone. Alla donna viene comunicata la positività e tempo tre minuti, senza nemmeno aver ancora digerito la prima notizia e in attesa del suo tampone e di quello del compagno, Luca riceve una telefonata. E' un medico del San Carlo, l'ospedale dove il padre è ricoverato col Covid, la madre ha appena saputo di averlo contratto e lui sta ancora aspettando la sentenza. 

Quella, presunta, ultima videochiamata - "Signor Paladini suo padre ha avuto un collasso dei polmoni, è questione di ore", dice la voce all'altro capo del telefono. A Luca viene anche detto che, se vuole, può vederlo un'ultima volta, tramite un'ultima videochiamata. A questo punto il dilemma si sposta su quello che deve dire alla madre: farla passare per una normale videochiamata, come altre fatte in passato, o farle sapere che tramite lo schermo di un cellulare vedrà per l'ultima volta l'uomo con cui ha condiviso la vita? Luca decide di essere sincero e, parole sue, quella "chiamata pietosa" dura meno di un minuto: il padre non è lucido e non capisce, lui e la madre urlano frasi cme "ti voglio bene" che comunque non potrebbero mai bastare o servire, nemmeno rincuorare tra la disperazione e il dolore. 

La chiamata dell'ospedale non arriverà mai - Nel frattempo il tampone di Luca risulta essere negativo e con la madre, in uno stato di confusione, angoscia e stordimento, torna a casa, in attesa di una chiamata dell'ospedale che comunichi la morte del padre. Perché così gli avevano detto. Il giorno dopo anche lui inizia ad avere la febbre ma la notizia confortante è che quella telefonata tanto attesa non arriva. E non arriverà mai. Perché per qualche motivo che persino i medici faticano a spiegare, il padre di Luca reagisce e il suo quadro clinico, da disperato, inizia lentamente a migliorare. Un immunodepresso di 84 anni, con leucemia cronica, che era già stato messo in un reparto dell'ospedale in cui vengono piazzati pazienti che solo poche ore separano dalla morte, sconvolge i piani e le previsioni avviandosi verso una lenta guarigione. 

Positività al terzo tampone - Ma la sfida più complessa di Luca deve ancora iniziare perché ora è lui a finire in pronto soccorso con la febbre alta: il secondo tampone che gli fanno è di nuovo negativo e persino da un'ecografia non emerge nulla. Un medico decide di fare una tac ed è quella a evidenziare un accenno di polmonite. La positività di Luca viene confermata dal terzo tampone e così l'11 aprile si trova ricoverato nello stesso ospedale dove anche il padre sta lottando per rimanere aggrappato alla vita. 

In terapia subintensiva - I suoi primi giorni in ospedale, in terapia subintensiva, sono un incubo perché la febbre non scende sotto i 39 e per ventilarlo meglio la notte gli fanno indossare il casco. A un certo punto i medici preparano persino il modulo da fargli firmare con il consenso informato per l'intubazione. "Ho avuto paura di morire", confessa adesso Luca. "Ero spaventato da tutti quei 'non so' dei medici", incapaci, persino loro, di fornire risposte, men che meno rassicurazioni. Poi Luca accetta di essere curato con un farmaco sperimentale e la malattia inizia a regredire. Anche in questo caso le spiegazioni mediche e scientifiche servono fino a un certo punto.

"Promettimi che ci rivediamo" - Nonostante evidenti difficoltà a stare in piedi per l'ossigenazione scarsa, Luca durante la sua degenza è sempre stato lucido e perfettamente cosciente di ciò che gli accadeva intorno. Per questo ricorda, a un certo punto, di essersi ritrovato a fianco un uomo di 41 anni con cui ha avuto appena il tempo di presentarsi e scambiare due parole. E' un paziente grave, a lui sì viene fatto firmare immediatamente il consenso informato per l'intubazione. Prima però guarda Luca, gli sorride e gli dice: "Promettimi che ci rivediamo". Luca dice di essere rimasto sconvolto da quella frase che nasconde tutta la solitudine e la disperazione dei malati di Covid. "In quella frase c'era il suo aggrapparsi alla vita, in me ha visto il suo ultimo riferimento, come se fossi per lui un padre, un fratello o un figlio invece di uno sconosciuto", racconta adesso Luca. E spiega anche che il peso di quella frase è stato tante volte riversato su medici e infermieri da parte di chi veniva portato in una terapia intensiva: "Promettimi che andrà bene". Ma non sempre è stato così. E non lo è stato nemmeno nel caso di quel 41enne, senza malattie pregresse, che non ce l'ha fatta e che Luca non ha effettivamente potuto rivedere. 

La sfida non è finita - Ora Luca è stato dimesso e si trova in isolamento di attesa dell'ultimo tampone che ne certifichi la negativizzazione definitiva. Il padre ha sconfitto il Covid ma resta un immunodepresso che a causa della leucemia che ne rallenta la guarigione si ritrova a essere ancora positivo. Verrà messo in una struttura riabilitativa, quei luoghi che incutono però un po' di timore perché nel recente passato sono stati dei focolai letali. Luca dice che il medico gli ha confermato questi timori, motivo per cui la sfida non si può dire ancora del tutto vinta. Anche perché la madre, positiva asintomatica, non fa la chemio da 45 giorni (perché la chemio immunodeprime un corpo e se hai un virus, anche se in fase di regressione, facendola rischi di riaccenderlo e dunque affronti un rischio che la donna non può correre). 

Andata e ritorno nel dolore - Luca di battaglie ne combatte sempre: per i diritti civili, per informare su quello che succede. La sua vicenda dice di volerla rendere pubblica affinché tutti siano consapevoli di cosa sia questa malattia. E per far capire che l'emergenza, anche se gli ospedali sono meno in sofferenza, non è affatto finita. Lui che ha visto gente morirgli intorno e altra piangere di gioia, col suo racconto rende tutti partecipi del suo viaggio nel dolore. Andata e ritorno. 

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