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La conferma arriva da Giuseppe De Donno, primario del reparto di pneumologi dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, che sta portando avanti la sperimentazione: "Hanno fatto solo una telefonata"
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E' finita nel mirino dei Nas la cura con il plasma iperimmune in corso all'ospedale Carlo Poma di Mantova in collaborazione con il San Matteo di Pavia. I carabinieri dei Nuclei Antisofisticazioni e Sanità hanno chiesto informazioni sulla donna incinta malata di Covid e guarita con l'infusione di plasma proveniente da un paziente guarito. A confermarlo è Giuseppe De Donno, primario del reparto di pneumologia: "Hanno fatto solo una telefonata".
I Nas hanno "raccolto sommarie informazioni su quello che stavamo facendo. Dopo quella telefonata non ho più sentito nulla e sono trascorsi alcuni giorni", ha precisato De Donno.
Il dg dell'asst di Mantova: "Quel caso rischiava di finire male" Anche il direttore generale dell'Asst di Mantova, Raffaello Stradoni, ha confermato la telefonata e smentito l'acquisizione di cartelle cliniche: "Non so perché i Nas si siano interessati della vicenda della donna incinta. Il protocollo sperimentale è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti con determinate caratteristiche". Nel protocollo, però, non sono previste infusioni su donne in stato interessante: "Ma quel caso - ha risposto ancora Stradoni - rischiava di finire male e, quindi, abbiamo proceduto, salvando due vite".
Il 28enne curato con il plasma In un'intervista al Corriere, De Donno ha raccontato la storia di Francesco, un ragazzo di 28 anni malato di Covid che si trovava in condizioni critiche in terapia intensiva. "Abbiamo chiesto al Comitato etico di poter usare il plasma, ci hanno dato il consenso e dopo 24 ore era già sfebbrato e stava bene. Domenica l'abbiamo svezzato dal ventilatore. E' un ragazzo arrivato qui senza altre patologie oltre al Covid. Doveva essere intubato e invece tra due giorni potremo restituirlo ai genitori".
"La cura funziona, nessun decesso fra le persone trattate" Il caso del 28enne, secondo De Donno, è esemplare per spiegare l'efficacia della cura: "Francesco è arrivato fuori tempo massimo ma lo abbiamo 'arruolato' lo stesso. Un centinaio di pazienti in tutto trattati con il plasma iperimmune sono guariti. La cura funziona, in tutto questo mese non abbiamo avuto decessi fra le persone trattate. Solo pazienti che sono migliorati fino a guarire oppure che si sono stabilizzati. Nessuno si è aggravato".
Il plasma non può aiutare se il quadro è già compromesso Il primario però ha precisato: "Non possiamo comunque alimentare false speranze: se la malattia ha lavorato a lungo fino a compromettere la funzionalità dell'organismo non c'è plasma che tenga. In quel caso la mortalità resta alta perché la virosi non c'è più perché non è più il virus il nemico ma i danni prodotti dal virus".
L'interesse suscitato negli altri Paesi La cura ha suscitato l'interesse della comunità internazionale. "Il nostro è stato il primo studio al mondo e adesso in tanti stanno seguendo la nostra strada, sia in Italia sia all'estero. Sabato mi ha chiamato un alto funzionario dell'Onu che ha un ruolo importante nella sanità Usa. Useranno anche loro il nostro protocollo, ci hanno fatto i complimenti".