In aula a Milano anche la madre di Lidia: "Spero che Binda dica la verità"
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La Corte d'Assise d'Appello di Milano ha deciso di riaprire l'istruttoria nel processo a carico di Stefano Binda, il 51enne condannato all'ergastolo per l'omicidio di Lidia Macchi avvenuto a Cittiglio, nel Varesotto, nel 1987. I giudici hanno accolto la richiesta della difesa dell'imputato di sentire Piergiorgio Vittorini, il penalista che disse di conoscere l'autore della lettera scritta dal presunto killer, e anche due consulenti grafologici.
Nella prossima udienza del 18 luglio verrà sentito l'avvocato Vittorini, il penalista bresciano al quale si sarebbe rivolto un uomo per dichiarare di essere il vero autore di "In morte di un'amica", il testo inviato dal presunto killer alla famiglia della giovane il giorno dopo il delitto. Testo che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato scritto appunto dall'imputato Stefano Binda. Il legale, che era stato chiamato a testimoniare davanti alla Corte d'Assise di Varese, in primo grado si era avvalso del segreto professionale. Secondo l'avvocato Daniele Pizzi, che assiste i familiari della giovane che si sono costituiti parte civile, il teste Vittorini dovrà "venire in aula e dire chi è l'autore della lettera anonima".
Sempre la prossima udienza verranno sentiti i due consulenti grafologici, uno dell'accusa e l'altro della difesa e non è escluso che la Corte d'Assise d'Appello, dopo il confronto tra i due periti, possa ordinare una nuova maxi perizia. "Siamo molto contenti della riapertura dell'istruttoria, ci abbiamo puntato molto - ha detto Patrizia Esposito, difensore di Binda insieme al collega Sergio Martelli- ci fa piacere che la Corte abbia deciso così per ragioni di tipo tecnico, processuale".
In aula erano presenti l'imputato, occhiali neri e giacca grigia, che si è sempre dichiarato innocente, e la madre e il fratello di Lidia, a fianco al loro legale Daniele Pizzi. La difesa di Binda, con gli avvocato Sergio Martelli e Patrizia Esposito, ha chiesto la riapertura del processo (nuove perizie e testimonianze). Il sostituto pg Gemma Gualdi ha fatto appello invece perché, malgrado Binda sia stato condannato al massimo della pena, venga riconosciuta anche l'aggravante dei motivi abietti e futili, caduta in primo grado.
Binda, arrestato nel 2016, si è sempre proclamato innocente, raccontando che nei giorni in cui Lidia venne uccisa era in vacanza con altri appartenenti a Comunione e Liberazione a Pragelato, in Piemonte. Tra gli elementi che hanno fatto riaprire il "cold case" (le indagini furono avocate dalla Procura generale di Milano che le tolse ai pm di Varese) e hanno portato alla condanna all'ergastolo dopo oltre 30 anni dal delitto, però, c'è soprattutto una consulenza grafologica dalla quale risultò che Binda era stato l'autore della poesia "In morte di un'amica" che venne inviata ai genitori della ragazza alcuni giorni dopo il ritrovamento del corpo.
La mamma di Lidia: "Binda dica la verità" - "Mi aspetto che Stefano Binda dica la verità". Questo il commento di Paola Bettoni, la madre di Lidia Macchi, durante una pausa dell'udienza del processo. "E' sempre molto dura vederlo - ha aggiunto la donna parlando con i giornalisti - lui non mi ha guardata, non mi ha mai rivolto la parola o rivolto uno sguardo". Sulla lettera anonima inviata alla famiglia della ragazza, e considerata decisiva dagli inquirenti, la madre di Lidia ha aggiunto: "Quando è arrivata, il giorno del funerale, ho subito pesato che fosse stata scritta dall'assassino. Quando l'ho letta, mi ha dato impressione che descrivesse la morte di mia figlia".