sfida sul dna

Delitto Yara, Bossetti: "Convinto che in appello avrò giustizia"

La difesa del carpentiere di Mapello: "A gennaio 2011 il corpo non era nel campo". Una fotografia satellitare è il nuovo elemento nel processo di appello

29 Giu 2017 - 19:21
 © agenzia

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Massimo Bossetti, il muratore di Mapello (Bergamo) condannato all'ergastolo per l'omicidio della 13enne Yara Gambirasio, si dice convinto che in appello potrà "avere finalmente giustizia". Sono queste le parole ripetute al suo legale, l'avvocato Claudio Salvagni, durante uno degli ultimi incontri in carcere. Il processo di secondo grado inizierà venerdì a Brescia.

Una fotografia satellitare scattata sul campo di Chignolo d'Isola il 24 gennaio 2011, un mese prima della scoperta del cadavere di Yara Gambirasio, è l'asso nella manica che i difensori di Massimo Giuseppe Bossetti si apprestano a calare nel processo d'appello. L'analisi di quell'immagine, spiega l'avvocato Claudio Salvagni, dimostra che "a fine gennaio il cadavere di Yara non era nel campo". Dimostrare che il corpo della vittima non è rimasto per tre mesi a Chignolo d'Isola, così come sostenuto dall'accusa, ma che vi è stato portato in un momento successivo al 24 gennaio è un elemento che, nella speranza della difesa, potrebbe rivelarsi decisivo per scagionare il carpentiere di Mapello. "C'è in ballo la sua vita", sottolinea l'avvocato Salvagni.

Il fulcro del processo resta però il dna - Una prova definita "granitica" dalla Corte d'Assise di Bergamo fu quella del dna, a causa della quale il 1 luglio 2016, il muratore 47enne fu condannato all'ergastolo. Secondo i giudici del processo di primo grado, fu lui a rapire la tredicenne Yara fuori dalla Polisportiva di Brembate Sopra, a seviziarla "con crudelta'" con un coltello ed abbandoarla ormai incosciente nel campo di Chignolo d'Isola lasciandola morire tra le ferite e il freddo nella sera del 26 novembre 2010. A incastrarlo, sempre secondo quanto decretato dalla sentenza di primo grado, è il suo dna che corrisponde a quello dell'assassino, prelevato dagli slip e dai leggins della tredicenne e ribattezzato dagli investigatori "Ignoto 1".

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