Un documento del Consiglio superiore della magistratura - anticipato da "La Stampa" - evidenzia come l'imprenditore avesse debiti con Fisco, fornitori e banche. Spuntano minacce al custode giudiziario
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Per anni ha rappresentato il simbolo delle vittime dello Stato vessatore: il credito di 4 milioni di euro che vantava dalla Pubblica Amministrazione aveva portato al fallimento la sua azienda di rifiuti. Con Sergio Bramini si sono schierati subito politici, social e mass media. Ora il Consiglio Superiore della Magistratura racconta un'altra verità. Lo fa in un documento "a tutela" di Simone Romito, il giudice di Monza incaricato del pignoramento della casa di Bramini. Il Csm evidenzia una serie di debiti pregressi per l'imprenditore, scorciatoie per evitare il Fisco, minacce al custode giudiziario. Il testo è anticipato dal quotidiano La Stampa.
Lo Stato debitore che porta al fallimento? - Il ritratto di un imprenditore onesto e di successo rovinato dallo Stato che non onora i suoi debiti (quattro milioni di euro stando alle parole di Bramini stesso) viene confutato dal Consiglio superiore della Magistratura che per la prima volta in cinque anni "vota una pratica a tutela di un magistrato", Romito, "aggredito, denigrato, offeso, diffamato" da una campagna politico-mediatica costruita sulle fake news.
Così, in 18 pagine, l'organo di autogoverno dei magistrati ricostruisce la vicenda. A partire dalla situazione creditizia vantata da Bramini nei confronti della P.A. Citando il Tribunale fallimentare di Milano, ammonterebbe a 1,6 milioni di euro la somma che gli enti pubblici dovrebbero all'imprenditore brianzolo. La cui storia debitoria iniziò nel 2001, e non nel 2005, come lui stesso ha sempre dichiarato.
Quello che nessuno ha detto finora è che la sua azienda era indebitata per 3.8 milioni di euro. Di questi 1,7 dovevano andare allo Stato (come Iva, Irpef, Irap e Tfr non pagati), 1,1 ai fornitori e il resto alle banche.
Il Csm comunque mette nero su bianco la responsabilità dello Stato. Con un ma. "E' falso - si legge - che la sua azienda sarebbe stata fatta fallire per le inadempienze di enti pubblici che pure ci sono state e non si vuole trascurare".
Le nuove accuse Un capitolo a parte merita la casa che l'uomo, nel tentativo di salvare dal pignoramento, intestò alla moglie dalla quale risulta ufficialmente separato. Oggi i due vivono insieme in un appartamento in affitto "per risparmiare".
Su quella casa, la pratica del Csm racconta anche di intimidazioni di Bramini al custode giudiziario incaricato di vendere l'abitazione. Si parla di "minacce di morte con utilizzo di armi legalmente detenute" da parte di Bramini al funzionario. Le armi sono poi state ritirate dalla polizia col relativo porto d'armi
Il giudice dell'esecuzione immobiliare Romito, dunque, per il Csm, non ebbe atteggiamento persecutorio nei confronti di Bramini, ma seguì leggi e procedure standard.
La difesa di Bramini L'avvocato dell'imprenditore, Monica Pagano, attraverso le colonne de La Stampa, continua a sostenere che il suo assistito "non è un furbo, ma una persona perbene" e che se anche il credito vantato nei confronti dello Stato non è di 4 milioni "ma della metà, è comunque una somma che se fosse stata riscossa gli avrebbe evitato il fallimento".