Lettera aperta di Nanni Delbecchi alle accuse, definite "idiozie o cattiverie", legate alla morte della scrittrice
Il 3 giugno Alessandra Appiano è uscita a piedi dall'ospedale Turro San Raffaele, dove era in cura, è salita su un palazzo della periferia milanese e si è lanciata nel vuoto dall'ottavo piano. Alla scrittrice il marito Nanni Delbecchi dedica una lettera per rispondere alle critiche arrivate via social dopo la morte per ricordare la moglie che era, scrive, "una donna buona, una sorgente infaticabile di luce e di energia" e per raccontare "un maleficio che non le ha lasciato scampo, nonostante i diversi tentativi di cura".
Nel documento pubblicato sul "Fatto quotidiano", Delbecchi replica così alle accuse diffuse via social che definisce "idiozie o cattiverie, a seconda del grado di ignoranza d acui sono state originate" per criticare la moglie, ritratta come "una donna fragile, malinconica e segretamente depressa - scrive Delbecchi -. I segnali trascurati, i segni premonitori, la ricerca morbosa del giallo e dell'orrore nei suoi romanzi e nei suoi post. Ognuno è padrone di dare libero sfogo alla propria nullità e alla propria spazzatura. Ma si tratta di idiozie o di cattiverie, a seconda del grado di ignoranza da cui sono state originate".
Delbecchi racconta quel disturbo, culminato nel ricovero il 17 maggio a Turro San Raffaele, "non un'eccellenza italiana, un'eccellenza europea", e dice che "eravamo certi che tutto si sarebbe risolto. Come immaginare che una simile forza della natura non si sarebbe risollevata, così come era accaduto ai tanti amici che in un modo o nell'altro avevano sperimentato la depressione? Invece quel ricovero si è rivelato l'ultimo passaggio di uno spietato destino di morte, la prova - non il sospetto - che la vita è davvero capace di tutto".
Il marito continua descrivendo la moglie come "la donna più attenta alla propria salute che abbia mai conosciuto - fin trovvo, faticavo a farle bere un bicchiere - dedita alla propria cura e al proprio aspetto, portatrice di un'immagine pubblica garbata ed elegante nell'era del vince chi urla di più, di una bellezza quasi soprannaturale per i suoi 59 anni senza il minimo ritocco estetico". Poi, ammette che "aveva le sue tristezze e le sue malinconie, certo, accentuate da una natura cui si alternavano spleen ed euforia" e la descrive come "un'artista vera, duplice anche nel suo lavoro, capace di tormentarsi per tre mesi sul 'non ho più niente da dire' e poi di buttar giù di getto un romanzo nei tre mesi successivi".
Delbecchi arriva infine a quei "cinquanta giorni in cui è cambiato tutto", da uno specialista all'altro, fino al ricovero "proprio per scongiurare qualsiasi gesto estremo". "Ma la mattina del 3 giugno da quel luogo che doveva curarla e proteggerla è potuta fuggire, vagare indisturbata per i deserti vialoni della periferia fino a raggiungere uno dei tanti anonimi grattacieli milanesi, sede di un hotel; dalla terrazza dell’ottavo piano ha guardato per l’ultima volta quella città che amava tanto, dove era arrivata dalla provincia nella speranza di un posto nel mondo che si era conquistato con la sua intelligenza, il suo talento, il suo perfezionismo, il suo culto per il lavoro. Fra i lettori di queste righe ce ne saranno alcuni che conobbero Alessandra, ed è verosimile che sviluppino riflessioni ulteriori, più o meno analoghe. Ma quelli che non la conobbero, o l’hanno vista solo in qualche apparizione mediatica, vorrei che avessero di Alessandra l’immagine più semplice che io ne porto nel cuore. Era una donna buona.