A Gente la donna racconta la propria vita familiare. E spiega che quando Yara è stata uccisa, il marito era a casa. "Ne sono certa perché ogni giorno per noi è identico all'altro, da sempre. La banalità felice della nostra esistenza è il nostro alibi, la mia sicurezza"
© ansa
"Da quando è rinchiuso l'ho incontrato sei volte. Ci guardiamo, lui piange spesso, dice che gli manca tutto e si chiede perché". Marita Comi, la moglie di Massimo Bossetti, l'uomo in carcere con l'accusa di aver ucciso Yara Gambirasio, ha affidato a "Gente" un memoriale in cui racconta la sua vita familiare. La donna è certa che "non è stato mio marito a uccidere Yara".
La donna ricorda così il giorno in cui hanno arrestato il marito: "Mi sono entrati in casa all'improvviso, erano almeno 20 carabinieri, erano sulle scale, in cucina, ovunque. Non capivo, loro parlavano, io pensavo solo a mandare via i bambini".
La moglie di Bosserri spiega poi che "in casa quella parola, assassino, non l'abbiamo mai pronunciata. Così come quell'altra parola, carcere. Se i ragazzi chiedono: il papà dove sta? Sta con i carabinieri, rispondiamo. Perché è coinvolto nella storia di Yara, basta".
Marita Comi si scaglia quindi contro le ricostruzioni sulla personalità del marito pubblicate da giornali e tv: "Sono state scritte tante illazioni e bugie, lui è un bonaccione. Hanno detto che quel pizzetto biondo gli dà una faccia da vizioso. Ma quale vizioso! Lui è biondo così. Ha la faccia di uno che lavora duro, si fa i fatti suoi, ha una faccia da buon padre. Anche la storia delle lampade: ne avrà fatta qualcuna, che male c'è, ma non tutte quelle che raccontano".
E sulla data del 26 novembre 2010, quando è scomparsa Yara, la donna spiega : "Se Yara fosse stata uccisa al mattino o al pomeriggio, forse non potrei giurare sull'innocenza di mio marito. Ma quella bambina è morta dopo le 19, forse dopo le 22. Massimo non poteva essere là fuori a uccidere, perché era a casa. Mi dicono: come fai a esserne certa? Perché ogni giorno per noi è identico all'altro, da sempre. Ecco perché posso sostenere: io so che non è lui, io gli credo. La banalità felice della nostra esistenza è il nostro alibi, la mia sicurezza".