I magistrati della procura di Milano non misero a disposizione della difesa i documenti che "scagionavano" i vertici del colosso petrolifero
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I pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sono stati condannati a 8 mesi a Brescia nel processo in cui rispondono di rifiuto di atti d'ufficio per non aver depositato atti favorevoli alle difese nel processo Eni/Shell-Nigeria che si è concluso con l'assoluzione di tutti gli imputati. Lo ha deciso il tribunale bresciano, presieduto da Roberto Spanò. Il processo per corruzione internazionale sulla maxi tangente nigeriana da un miliardo di dollari, finito con l'assoluzione di tutti i vertici Eni imputati. La sentenza è stata è letta nell'aula della prima sezione penale di Brescia dal collegio presieduto dal giudice Roberto Spanò e le colleghe Wilma Pagano e Paola Giordano. Accolta la richiesta dei pm Francesco Milanesi, Donato Greco e il procuratore Francesco Prete.
Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sono stati accusati di 6 episodi di omissione d'atti d'ufficio per non aver depositato alle difese Eni gli elementi raccolti dallo stesso Storari durante l'inchiesta parallela "Falso complotto Eni" (processo ancora in corso) su un presunto maxi depistaggio ai danni dei magistrati che accusavano il colosso dell'energia, con al centro la figura dell'ex legale esterno della società, "l'avvocato dei misteri", Piero Amara.
Si tratta di tre documenti di 88 pagine, denominati "falsità Armanna" dal nome di Vincenzo Armanna, ex manager Eni, grande accusatore della società petrolifera sulla 'stecca' da un miliardo per aggiudicarsi il giacimento Opl 245 e poi ritrattatore. Prove che secondo Storari avrebbero dimostrato in maniera inconfutabile come Armanna fosse un calunniatore-depistatore che tenta di pagare testimoni e fornisce chat e numeri di telefono falsificati e delle quali avrebbe avvisato i colleghi con insistenza per due mesi a partire dal 18 gennaio 2021.