Giovane stuprata a Milano mentre va al lavoro, le immagini del luogo della violenza
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Sotto accusa un 31enne sbarcato a luglio in Sicilia. Decisive per individuarlo le immagini delle telecamere di sorveglianza e le analisi del Dna
La Squadra mobile di Milano ha fermato un uomo accusato di aver violentato la mattina del 9 agosto una dipendente dell'ospedale San Raffaele, che si stava recando a lavorare. La violenza ai danni della 25enne è avvenuta in strada nei pressi della zona di Cascina Gobba, non lontano dal nosocomio. Il fermato è un egiziano di 31 anni ed era sbarcato a Lampedusa all'inizio di luglio.
Le indagini - A incastrare l'uomo, oltre alle indagini degli investigatori, anche le immagini raccolte dalle telecamere e i dati incrociati del Dna.
La ricostruzione - Secondo le ricostruzioni l'uomo, privo di permesso di soggiorno e senza precedenti penali, ha visto la giovane che, interno alle 6 del mattino, stava andando a piedi nell'ospedale dove lavora. Scesa alla stazione della metropolitana di Cascina Gobba, aveva imboccato una scorciatoia per l'ospedale. E' un tratto di strada che, sebbene sia percorso spesso da lavoratori, è circondato da alberi e comprende un'area cantiere. L'uomo ha afferrato la giovane alle spalle e l'ha trascinata in uno scavo utilizzato come incrocio per le tubature, dove l'ha violentata.
Dopo la violenza la donna è scappata al lavoro, dove ha raccontato quello che era successo alle colleghe. Ferita e sotto shock, in un primo momento si è rifiutata di rivolgersi alla polizia, ma le amiche hanno insistito e l'hanno convinta a presentarsi alla clinica Mangiagalli, dove i medici hanno accertato la violenza e inviato la segnalazione in Procura, che ha dato il via alle indagini.
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Telecamere e Dna - Gli uomini della Squadra mobile hanno quindi individuato l'autore della violenza in pochi giorni, dopo aver passato al setaccio le immagini di tutte le telecamere di sorveglianza della zona, incrociando i dati raccolti con i tabulati telefonici. Decisivo anche il riscontro ottenuto con le analisi sul Dna, raccolto sul luogo della violenza: gli esami hanno infatti fornito un "match" tra quello dell'aggressore e quello rintracciato dagli inquirenti dopo la denuncia della giovane.