Era accusata di sequestro di persona aggravato e sottrazione di minori. Il pm aveva chiesto la condanna a 4 anni e 6 mesi
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La 33enne ecuadoriana imputata per aver tentato, nel luglio scorso, di rapire una neonata alla clinica Mangiagalli di Milano è stata condannata a 3 anni di carcere. Lo ha deciso la quinta sezione penale del Tribunale accogliendo al ribasso la richiesta del pm che era di 4 anni e 6 mesi. Le motivazioni saranno depositate entro 15 giorni.
La donna, accusata di sequestro di persona aggravato e sottrazione di minori, e ora libera, è rimasta in cella a San Vittore per circa sette mesi. Ha risarcito i genitori della piccina che ha tentato di rapire. "Ho avuto paura che il mio compagno mi lasciasse - aveva detto in aula durante il suo esame - è per questo che l'ho fatto. Chiedo perdono alla madre". La casalinga di Mediglia, che ha già una figlia di 7 anni avuta da una relazione precedente, aveva raccontato di avere avuto "paura" che la nuova relazione con il compagno finisse a causa della perdita del bambino che portava in grembo, perché il convivente di prima l'aveva lasciata dopo un aborto spontaneo. I giudici della quinta sezione penale presieduti da Ambrogio Moccia hanno ritenuto di concedere alla signora le attenuanti equivalenti alle aggravanti.
Secondo la ricostruzione del pm, la casalinga fu vista nei giorni precedenti il rapimento nei pressi del 'nido' della clinica Mangiagalli. Quando prese la neonata, fu inseguita da un'infermiera che le gridò di fermarsi. Cosa che fece, dopo aver capito di non avere scampo. Una volta bloccata, la donna "non ha potuto fare altro che riconsegnare la bambina" e a riprova della sua "determinazione" è pure quella borsa che la donna aveva con sé, ha spiegato il pm. Dentro c'erano cappellini rosa, guantini, calzini, scarpette, un biberon e pure un braccialetto come quelli che in genere si mettono al polso dei bimbi appena nati per identificarli e per evitare che siano scambiato o sottratti dalle loro culle.