Sei mesi di reclusione al critico, tre al direttore de Il Giornale, con sospensione della pena. La difesa a Tgcom24: "Il pm ha torto"
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Il giudice monocratico di Monza Bianchetti ha condannato Vittorio Sgarbi a sei mesi di reclusione per avere diffamato, su Il Giornale, il magistrato palermitano Nino Di Matteo. A tre mesi, per omesso controllo, è stato condannato il direttore del quotidiano Alessandro Sallusti. Entrambi hanno avuto la sospensione della pena. L'articolo ritenuto diffamatorio è stato pubblicato nella rubrica Sgarbi Quotidiani il 2 gennaio del 2014. Il critico si difende a Tgcom24: "Non ho diffamato nessuno, il pm ha torto".
Il risarcimento Sia Sgarbi che Sallusti dovranno risarcire i danni al pm, ora in servizio alla Dna, da liquidarsi in sede civile. Il giudice ha comunque concesso a Di Matteo, difeso dall'avvocato Roberta Pezzano, una provvisionale immediatamente esecutiva di 40mila euro. Entrambi hanno avuto le attenuanti generiche. Nell'articolo incriminato, intitolato "Quando la mafia si combatte soltanto a parole", Sgarbi scriveva: "Riina non è, se non nelle intenzioni, nemico di Di Matteo. Nei fatti è suo complice. Ne garantisce il peso e la considerazione". E ancora: "C'è qualcosa di inquietante nella vocazione al martirio (del magistrato, ndr)" e "gli unici complici che ha Riina sono i magistrati".
Sgarbi si difende a Tgcom24 "Ho detto una cosa oggettiva, e cioè che le intercettazioni in carcere di Riina che 'condannava a morte' Di Matteo, hanno favorito la creazione del mito del magistrato, ne hanno aumentato popolarità e tutela, e questa non è diffamazione, è un'opinione". Esordisce così a Tgcom24 Vittorio Sgarbi, commentando la notizia della sua condanna.
"In uno Stato democratico - continua - è garantita la libertà d'espressione e questa sentenza è un crimine contro la democrazia e l'ossequio di un magistrato a un suo collega".
"Sono convinto - conclude - che Di Matteo abbia torto su tutta la linea della sua impostazione giudiziaria e che abbia detto cose inaccettabili contro il generale Mori in una sentenza e contro Forza Italia con le sue dichiarazioni che il partito sarebbe nato da un patto con la mafia. Questa è vera diffamazione ma nessuno riesce a condannare chi l'ha pronunciata".