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Prima udienza a Milano del procedimento per il decesso della bimba abbandonata in casa e morta di stenti. La donna rischia l'ergastolo
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"Aveva diritto di vivere, non di pagare per sua madre". Così, uscendo dalla Corte di Assise di Milano, Viviana Pifferi, sorella di Alessia Pifferi e zia della piccola Diana morta di stenti a 18 mesi abbandonata in casa dalla madre 37enne. In tribunale, a Milano, si è celebrata la prima udienza del processo per omicidio volontario pluriaggravato alla donna. Il presidente Ilio Mannucci Pacini ha rinviato tutto all'8 maggio per permettere al nuovo avvocato della Pifferi, Alessia Pontenani, di studiare gli atti. L'imputata rischia l'ergastolo. La zia, assistita dal legale Emanuele De Mitri del foro di Milano, si costituirà parte civile.
"Mia sorella deve pagare", ha ripetuto in lacrime Viviana Pifferi. "Diana era la bimba più bella del mondo, non si meritava tutto questo, lei deve pagare per ciò che ha fatto", ha ripetuto ai cronisti uscendo dalla prima udienza del processo in cui Alessia Pifferi è accusata di omicidio volontario aggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di quasi un anno e mezzo, abbandonandola da sola in casa per sei giorni.
Viviana Pifferi si è presentata in aula in Corte d'Assise a Milano e con una maglietta addosso con stampata la foto della nipote, mentre prendeva il via il processo contro Alessia Pifferi, subito rinviato al prossimo 8 maggio, perché nei giorni scorsi la donna ha cambiato ancora una volta difensore. Poi, ha richiamato il precedente legale, il quale alla fine ha rinunciato al mandato. Ora è assistita dall'avvocato Alessia Pontenani, la quale ha chiesto termini a difesa essendo stata nominata solo qualche giorno fa. Rinvio concesso dai giudici data la "delicatezza e complessità del procedimento".
Nella prossima udienza, come ha spiegato il legale Emanuele De Mitri che rappresenta madre e sorella di Alessia Pifferi, rispettivamente nonna e zia della bimba deceduta, le sue assistite si costituiranno parti civili contro la 37enne, in carcere da fine luglio scorso nell'inchiesta della Squadra mobile di Milano, coordinata dai pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro.
La Procura di Milano, intanto, ha contestato nell'imputazione di omicidio volontario anche l'aggravante della premeditazione, oltre a quelle di aver ucciso la figlia e dei motivi futili e abietti. La piccola, scrivono i pm nell'imputazione, venne lasciata "priva di assistenza e assolutamente incapace, per la tenerissima età, di badare a se stessa, senza peraltro generi alimentari sufficienti e in condizioni di palese ed evidente pericolo per la sua vita, pure legate alle alte temperature del periodo".
Tutto ciò causò "nella minore una forte disidratazione" che portò alla morte. Dopo aver chiuso la porta di casa, la donna se ne era andata dal compagno (non padre della bimba) in provincia di Bergamo.
La 37enne nel processo rischia la condanna all'ergastolo (aveva provato a chiedere il rito abbreviato, ma l'istanza è stata respinta in base alle normative). La difesa potrebbe puntare su un'istanza di perizia psichiatrica per valutare un eventuale vizio di mente al momento dei fatti.
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Nella prossima udienza saranno trattate le questioni preliminari e la fase dell'ammissione prove. Il processo, ha spiegato il presidente della Corte, sarà trattato "tra la seconda metà di giugno e la prima metà di luglio" e si potrebbe chiudere anche prima dell'estate. Oppure a settembre.