La donna: "Sono pronta a farlo, ma serve più a lui che a me. In ogni caso non voglio incontrarlo mai"
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"Lucia perdonami. Perdona il mio gesto indegno e brutale e perdona me che lo fatto" (l'errore è dell'originale - ndr). Inizia con queste parole la lettera indirizzata a Lucia Annibali dal suo aggressore, Rubin Talaban, e pubblicata dal Corriere della Sera. L'uomo, condannato a 12 anni, per averle gettato in faccia l'acido che l'ha sfigurata per sempre, le ha scritto dal carcere.
Il 37enne albanese scrive: "Ho provato a essere nei tuoi panni e non posso stare più di qualche secondo nei momenti di dolore e sofferenza causati da me. Che io sia maledetto per sempre (...) Vorrei abbracciarti e stringere le tue mani con le mie. Puoi essere la mia guida anche se il peccato lo porterò a vita (...) Non posso fare l'indifferente come se non c'è stato niente (...) Allungami la mano, Lucia, perché non sono un mostro, ma un grande errore. Se mi perdoni, mi aiuti".
Rubin è l'uomo che la sera del 13 aprile del 2013 sfregiò l'allora avvocato di Pesaro, Lucia Annibali, che all'epoca aveva 36 anni. Un agguato al buio, mentre rincasava. Aprendo il portone, la donna si ritrovò davanti quello sconosciuto che, con precisione chirurgica, passò subito all'azione: prese la mira per tirarle il liquido in faccia, da basso verso l'alto, da destra verso sinistra. Sono passati sei anni, la giustizia ha condannato a 20 anni Luca Varani, l'ex fidanzato della Annibali e mandante del raid punitivo, a 12 anni l'albanese Rubin Talaban e il suo connazionale Altistin Precetaj che gli faceva da palo.
E' la prima volta che il sicario dell'acido parla, ammette, confessa, chiede scusa. In anni di procedimenti penali e dolororosissimi interventi chirurgici per ridare un volto a Lucia, quell'uomo era rimasto sempre in silenzio. La lettera è arrivata nello studio legale del padre della Annibali, a Urbino. Lei l'ha messa da parte, è rimasta in silenzio per giorni: difficile immaginare con quali emozioni, ma certo è che,, col suo spirito combattente, Lucia ha trasformato presto i suoi stati d'animo in azione concreta. E oggi è persino pronta al perdono.
"Se davvero quello che scrive è verità - dice - se davvero oggi è consapevole di quello che ha fatto e non è più la sagoma scura che ho visto dentro casa mia, io lo posso anche perdonare. Ma quel perdono serve più a lui che a me. Deve fare i conti con quello che ha fatto come io convivo ogni giorno con quello che mi ha fatto, perdono o non perdono. Se tutto questo non è una carta da giocare per avere permessi o chiedere misure alternative, meglio per lui e il suo futuro. Ma io dico anche meglio per tutti noi, perché ogni detenuto recuperato è una garanzia di sicurezza per una società intera. Detto questo, non è che ora diventiamo amici o che io abbia intenzione di incontrarlo. Tra l'altro la sentenza prevede che, espiata la pena, lui torni nel suo Paese...".
Pensando al giorno in cui i responsabili usciranno di prigione, Lucia dice: "Finora il fatto che fossero detenuti e fisicamente distanti mi ha aiutato, perché le vittime hanno bisogno di tempo e distanza per lavorare su se stesse e sul trauma che hanno vissuto. Io non voglio vendetta, sconteranno le loro pene e usciranno, va bene così. Io voglio solo vivere tranquilla".