L'autore della caccia al pusher, che il 3 febbraio 2018 ferì 6 persone, dal carcere si dichiara "pentito" e "non da oggi"
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"Dentro di me non c'è più odio, sono pentito e non da oggi". A un anno dalla sparatoria per le strade di Macerata che quel 3 febbraio 2018 portò al ferimento di sei persone, obiettivo della caccia al nero messa in atto da Luca Traini contro gli spacciatori e per vendicare, a suo dire, la morte di Pamela Mastropietro, è Traini stesso a squarciare il silenzio. Lo fa in un'intervista dal carcere, dove sconta una condanna a 12 anni, concessa a La Repubblica. Incontrerebbe le persone a cui ha sparato per chiedere scusa, è una delle domande poste: "Ho già chiesto scusa durante il processo. Io sono pronto", la risposta.
"Il lupo resta un simbolo, la caccia è finita quel giorno. Già quando sono tornato a casa dopo la sparatoria, per cercare la bandiera tricolore, mi sono sentito svuotato, esaurito. Tutto si era compiuto. Ma se sei lupo, lo rimani per sempre", dice Luca Traini, l'estremista di destra che un anno fa, dunque, a Macerata prese a bersaglio i neri, sparando e ferendo 6 persone.
Nell'intervista dal carcere dice di essere pentito, "e non da oggi". Parla di cosa l'ha mosso quella mattina. Voleva essere "il vendicatore": "E' stata come un'esplosione dentro di me", "per me gli spacciatori avevano ucciso Pamela, e gli spacciatori erano loro, i negri. Li chiamavo così. Oggi li chiamo neri. Poi, in questi mesi passati in carcere, ho lentamente capito che gli spacciatori sono bianchi, neri, italiani e stranieri. La pelle non conta. Qui dentro si capiscono molte cose, guardando gli altri e parlando con loro".
"Tutta la mia ideologia politica, Dio, patria, famiglia, onore, ha pesato in quel mix esplosivo - aggiunge. - La tragedia di Pamela ha fatto da innesco". "L'odio - dice - non nasce per caso, è frutto di tante cose, anche di politiche errate, a danno sia degli italiani che degli immigrati".