come clan criminali

Strage di Corinaldo, le guerre e i legami tra bande dello spray

Da quanto emerge dalle intercettazioni le gang si conoscevano attraverso i social e c'era una sorta di codice d'onore da rispettare ma le rivalità a volte sfociavano in guerre come veri clan criminali

05 Ago 2019 - 12:29
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Ugo Di Puorto, Andrea Cavallari, Moez Akari, Raffaele Mormone, Eros Amoruso (morto il 2 marzo), Badr Amouiyah: sono i sei 19enni, che compongono la banda dello spray "modenese", finiti agli arresti perché responsabili della morte di sei persone nella strage di Corinaldo. Furono loro la notte tra il 7 e l'8 dicembre a mettere in atto l'ennesima rapina con il gas. Uno dei 77 colpi effettuati in centro Italia. Ciò che è emerso dall'inchiesta della Procura di Ancona è che non era l'unica gang a operare sul territorio. Di fatti esistono anche le bande dei "genovesi" e dei "torinesi". E tra di loro si conoscevano, si controllavano sui social e c'era una sorta di codice d'onore da rispettare. Ma se veniva infranto, dava vita a una guerra tra bande. In pratica agivano come vere e proprie associazioni a delinquere.

Corinaldo, arrestata la "banda dello spray"

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Le altre bande del nord Italia lavoravano allo stesso modo: i "modenesi" avevano un rapporto molto conflittuale, ma fatto anche di una forma di rispetto, con i "genovesi". Spesso si spartivano tacitamente le zone d'influenza, non di rado si pestavano i piedi. Poi c'erano i "torinesi" considerati però più inaffidabili: a loro dire alcuni di questi sarebbero coinvolti nei fatti di piazza San Carlo dove, per una situazione alla fine non troppo diversa da Corinaldo, morirono due persone.

"Rispetto per chi rispetta... loro non si mettono in mezzo e ti lasciano fare quello che vuoi... è così la cosa bella tra squadre", affermano in una conversazione Di Puorto e Mormone. E' la pax criminale che però viene incrinata, quando i "genovesi"  sconfinano e che per esempio innesca un litigio tra Di Puorto e uno degli esponenti dell'altra gang nella discoteca Nord Est di Coldogno.

Ciò che emerge dall'inchiesta è anche la presenza delle "donne dei boss" che per 50 euro collaboravano con le bande e a volte le tradivano alleandosi con le rivali.

Intanto tra oggi e martedì i sei ragazzi arrestati saranno sentiti dal gip per gli interrogatori di garanzia: una prima opportunità di raccontare la loro versione dei fatti. I sei ragazzi, tutti più o meno ventenni, residenti in provincia di Modena, sono accusati anche di omicidio preterintenzionale. Insieme a loro è finito in galera anche il titolare di un compro oro di Castelfranco Emilia, accusato di essere il ricettatore del bottino delle loro scorribande con lo spray al peperoncino.

L'obiettivo delle indagini, a questo punto, è approfondire il ruolo di ciascuno di loro nella vicenda. A cominciare da "Ugo" e dal "Cava", i due piccoli boss della banda modenese, il primo dei quali figlio di una persona vicina al clan dei Casalesi. Sarebbero stati loro a orchestrare i colpi, a tenere i contatti con "il nonno", il commerciante al quale rivendevano la merce, e a scegliere i bersagli. Un'attività svolta con grande applicazione, che necessitava anche una conoscenza approfondita della musica che ascoltano gli adolescenti: i bersagli preferiti erano, infatti, i locali dove si esibivano i cantanti in voga fra i più giovani, più facili da derubare.

Saranno passate al setaccio le posizioni di Raffa, sodale di Ugo, il più abile a far sparire la refurtiva, il "maestro del gas" Moez, l'altro esperto di spray, Sua. E Badi, talmente abile negli strappi che la sera di Corinaldo aveva pensato di rapinare pure Sferaebbasta, il trapper per il quale tutti quei ragazzi si erano radunati in discoteca.

Chi non potrà raccontare quello che è successo è Eros. Gli altri ragazzi lo piangono come un fratello, visto che in aprile, pochi mesi dopo i fatti di Corinaldo, è morto in un incidente stradale. E che è l'unico, nelle intercettazioni che hanno portato agli arresti, che mostra qualche segno, se non di pentimento, almeno di consapevolezza del fatto che il loro "giochino" ha provocato sei morti. Spetterà alle indagini capire anche il livello di coinvolgimento di alcuni dei loro amici che, anche se non direttamente coinvolti nella vicenda di Corinaldo, avrebbero comunque fatto parte, a vario titolo, della banda.

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