A 41 anni di distanza, i tre condannati continuano a ribadire la propria estraneità ai fatti in un monologo nel programma di Italia 1
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"Noi siamo innocenti e diremo che siamo innocenti fino al giorno della nostra morte". Al centro dell'ultimo appuntamento de Le Iene, in onda martedì 4 giugno, il caso del massacro di Ponticelli, che sconvolse l'Italia nel 1983. Ospiti del programma di Italia 1 sono stati Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo, condannati per per la terribile uccisione delle due bambine, Barbara Sellini e Nunzia Munizzi. A 41 anni di distanza, i tre uomini continuano però a professarsi innocenti".
"Oggi forse anche grazie a "Le Iene" tutti credete e forse potete almeno immaginare cosa significa farsi chiamare mostri, assassini e delinquenti senza aver fatto nulla - ha spiegato nel corso del monologo Luigi La Rocca, portavoce dei tre -. Cosa significhi finire in carcere senza nessuna colpa. Oggi siamo fuori e potremo vivere con le nostre famiglie in silenzio e potremo restare nascosti sperando che nessuno ci riconosca. Invece vogliamo che vediate le nostre facce, le facce di tre amici innocenti che hanno diviso il pane in cella, che si sono chiesti ogni giorno come sarebbe stata la vita. Quella vera: di tre ragazzi che giocavano a pallone per la strada, è meglio essere colpevoli perché quando sei colpevole puoi dire ho sbagliato. Ma quando sei innocente, quando alla sera cerchi di dormire non vuoi trovare una ragione che ti metta il cuore in pace. Può ancora venire fuori il vero colpevole, la verità non può fare male, può fare solo bene".
Il 2 luglio 1983 Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, due bambine di 7 e 10 anni, furono violentate, torturate, uccise, e infine date alle fiamme. Dopo due mesi di indagini e tre anni di processi, condannò Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo. I tre, appena maggiorenni all'epoca dei fatti, sostennero dal primo momento di essere innocenti. Oggi i tre sono liberi dopo aver scontato una pena di 27 anni (furono condannati all'ergastolo, ma ottennero una riduzione di pena per via di alcuni propositi di buona condotta), ma sostengono di essere vittime di uno dei più clamorosi errori giudiziari della legislatura italiana. Il caso ha attirato anche l'attenzione della Commissione Parlamentare Antimafia che ha, di recente, sollevato parecchi dubbi sulle indagini svolte che l'hanno portata a valutare una possibile revisione del processo di condanna. Secondo il parere della Commissione, infatti, sulla vicenda potrebbe essere calata l'ombra della criminalità organizzata.
Le due bambine, Nunzia e Barbara, spariscono dalla piazzetta del rione Ponticelli, in provincia di Napoli, alle 19:30 del 2 luglio del 1983. Un'ora più tardi partono le ricerche, dal momento che non avevano fatto ancora ritorno a caso. Le ricerche proseguono fino alle 12 del 3 luglio, il giorno successivo, quando dal Rione Incis arriva un segnalazione che porta i carabinieri nei pressi di un cantiere stradale nella zona Pollena di Volla. Qui furono rinvenuti i cadaveri semi-carbonizzati di Nunzia e Barbara. Un altro particolare inquietante sulla vicenda è legato al fatto che i corpi delle due bambine furono ritrovati abbracciati l'un l'altro. Secondo l'autopsia le bimbe furono torturate con uno strumento tagliente e poi uccise. L'orario del decesso delle due vittime suscitò più di un dubbio: l'infanticidio si sarebbe consumato tra le 19:45 e le 20:30, ma si pensa che 45 minuti soltanto siano stati troppo pochi per compiere tutte le torture riscontrate sui corpi.
Secondo i tre uomini, il processo che li condannò all'ergastolo non aveva sufficienti prove per ritenerli colpevoli. Non sono state trovate infatti tracce biologiche delle vittime nelle auto dei presunti assassini, i quali non solo avrebbero rapito, forse stuprato, poi ucciso e occultato due cadaveri in meno di un'ora, ma avrebbero anche ripulito i propri vestiti dal sangue delle vittime per presentarsi perfettamente vestiti alla discoteca Eco Club di Volla. L'accusa ha portato avanti la richiesta di condanna per i tre gradi di giudizione, nonostante contro di loro ci fossero soltanto due testimonianze, per giunta controversa. La revisione del processo per il duplice omicidio è stata chiesta dai tre e negata per tre volte. Imperante, La Rocca e Schiavo, la cui innocenza è stata sostenuta anche dall'ex giudice antimafia Ferdinando Imposimato, hanno dichiarato di aver chiesto la revisione, rinunciando a qualsiasi eventuale pretesa di risarcimento per ingiusta detenzione.