IL CASO CHE FA DISCUTERE

Milano, ex sindacalista assolto da accusa di violenza sessuale su una hostess: "Lei ha detto no solo dopo 20 secondi"

La Corte d'Appello ha depositato le motivazioni della sentenza con cui a giugno ha confermato quanto stabilito dal Tribunale di Busto Arsizio nel 2022

17 Set 2024 - 20:28

La Corte d'Appello di Milano ha depositato le motivazioni della sentenza con cui a giugno ha confermato l'assoluzione per un ex sindacalista dall'accusa di violenza sessuale nei confronti di una hostess. La donna ha detto "no" dopo venti secondi, una finestra di tempo considerata troppo ampia per condannare l'uomo. Dal processo emerge "come l'imputato non abbia adoperato alcuna forma di violenza - ancorché si sia trattato, effettivamente, di toccamenti repentini - tale da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta", si legge nelle carte. Condotta che "non ha (senz'altro) vanificato ogni possibile reazione della parte offesa, essendosi protratta per una finestra temporale", "20-30 secondi", che "le avrebbe consentito anche di potersi dileguare".

L'ex sindacalista fu assolto anche in primo grado

 Il 24 giugno scorso, la prima sezione penale della Corte d'Appello milanese aveva confermato l'assoluzione dall'accusa di violenza sessuale per un ex sindacalista in servizio a Malpensa nei confronti di una hostess che a lui si era rivolto, nel 2018, per una vertenza sindacale. Una sentenza che già in primo grado aveva fatto discutere e che anche dopo il verdetto d'appello era stata bollata dall'Associazione Differenza Donna, con l'avvocato Maria Teresa Manente, come un passo "indietro di 30 anni". La Procura generale di Milano, col sostituto pg Angelo Renna, aveva chiesto in appello di ribaltare il verdetto di primo grado del Tribunale di Busto Arsizio (Varese) del 2022 e di condannare il sindacalista. Ma la sentenza di assoluzione è stata confermata.

Le motivazioni della sentenza della Corte d'Appello

 La Corte nelle cinque pagine di motivazioni, in sostanza, chiarisce che in questo caso mancano i "requisiti" della "violenza, minaccia o abuso di autorità" per configurare il reato di violenza sessuale e che "la qualifica e il ruolo rivestito dall'imputato non comportavano, in concreto, alcuna supremazia" nei confronti della donna. E non può sussistere in questa vicenda, scrivono i giudici, "l'ipotesi di atti sessuali repentini aventi rilevanza penale", anche perché la stessa parte civile, spiega la Corte, "ha precisato come 'i toccamenti e i baci (...) siano poi stati protratti per un tempo di circa trenta secondi, in cui ella aveva continuato a sfogliare e a leggere i documenti'".

Per i giudici, inoltre, per la donna non c'era alcun "stato di 'timore' indotto dalla corporatura massiccia dell'imputato", avendo "avuto questa Corte agio di constatare che trattasi di individuo di stazza assolutamente normale". I giudici, tra l'altro, ribadiscono, in un passaggio finale delle motivazioni, "la infondatezza di opzioni ermeneutiche intese ad arricchire il
catalogo delle condotte sessualmente violente".

Difesa ex sindacalista: "Sentenza chiara su assenza di violenza"

 "La sentenza della Corte d'Appello è ancora più chiara a proposito della totale insussistenza del reato di violenza sessuale a carico del mio assistito Raffaele Meola". Lo spiega l'avvocato Ivano Chiesa, che assiste l'ex sindacalista assolto. "I giudici di secondo grado scrivono che non c'è stata violenza, che non c'è stata minaccia, che non c'è stato abuso di autorità - chiarisce il legale - e che non c'è stato nemmeno un atto repentino che avrebbe rilevanza penale perché la persona offesa ha avuto tutto il tempo per manifestare il proprio dissenso".

Addirittura, prosegue il legale, "scrivono che la signora avrebbe potuto dileguarsi, cioè in sostanza alzarsi e andarsene. Con ciò mi auguro che la flagellazione mediatica del mio assistito - conclude l'avvocato Chiesa - priva di ogni fondamento, finisca definitivamente".

Pm e legale donna: "Vittima vulnerabile non poteva reagire"

 La "irrilevanza della reazione tardiva" della vittima, la "posizione di preminenza dell'imputato, desumibile dalla sua qualifica di sindacalista" e "l'insussistenza del consenso". Sono questi i punti che aveva valorizzato la Procura di Busto Arsizio (Varese) nel chiedere di ribaltare la sentenza di primo grado con cui l'imputato era stato assolto "perché il fatto non sussiste". Verdetto, invece, confermato dalla Corte d'Appello milanese. Lo stesso sostituto pg di Milano Angelo Renna, sulla base del ricorso della Procura, aveva chiesto in secondo grado per l'imputato la condanna a 3 anni di reclusione. In primo grado i giudici avevano scritto che in quei "20-30 secondi", contestati
come abusi dai pm, "il dissenso della vittima non fu né esplicitato né manifestato per fatti concludenti chiaramente indicativi di una contraria volontà".

Anche il legale di parte civile Maria Teresa Manente, che rappresenta la donna di 47 anni, aveva insistito perché si arrivasse alla condanna, evidenziando anche la "condizione di vulnerabilità" della vittima, dovuta al fatto che l'uomo era "rappresentante di sindacato" e aveva il "potere di sostenerla per i problemi lavorativi". L'avvocato aveva pure messo in luce la condizione psicologica in cui si era venuta a trovare la donna mentre avrebbe subito le violenze. In primo grado i giudici avevano scritto che lei aveva "continuato a leggere la documentazione". Il prossimo passo sarà il ricorso della Procura generale milanese in Cassazione, così come quello della parte civile.

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