Una 40enne all'ottavo mese di gravidanza era andata nella clinica San Pio X per dolori addominali ma era stata rimandata a casa. E' morta la mattina seguente. Indagine per le ipotesi di omicidio e aborto colposo
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Incinta all'ottavo mese di gravidanza, una donna di 40 anni italiana era andata nella clinica San Pio X per dolori addominali. La Procura di Milano ha aperto un fascicolo per le ipotesi di omicidio colposo e aborto colposo.
Il 17 ottobre la 40enne, alla 35esima settimana di gravidanza, aveva lamentato dolori addominali e il marito aveva chiamato un'ambulanza alle 4.57. Il 118, arrivato immediatamente, aveva subito iniziato le manovre di rianimazione, ma la donna era arrivata all'ospedale Niguarda in arresto cardiocircolatorio e dopo sette minuti era praticamente morta. Era stato tentato un cesareo d'emergenza, ma non c'era più nulla da fare: la rottura dell'utero aveva portato a un'emorragia devastante. Alle sei del mattino era stato constatato il decesso di entrambi.
Alle 19 della sera precedente la donna era però andata nella clinica San Pio X, a due passi da casa e dove la 40enne era già in cura, perché lamentava dolori addominali. Per un'ora la donna era stata sottoposta ad accertamenti clinici per verificare il suo stato di salute e quello del feto, ma non era stato riscontrato alcun problema tale da fare scattare un ricovero. La donna era stata dimessa con la raccomandazione di ripresentarsi immediatamente in ospedale in caso di un riproporsi dei dolori. Ma la situazione era poi precipitata.
La San Pio X ha ora messo a disposizione della magistratura la cartella clinica e tutta la documentazione, sottolineando di avere svolto tutti gli esami nel modo più scrupoloso possibile nella linea della massima trasparenza.
I familiari però si chiedono come possa essere possibile che, uscita dall'ospedale con la rassicurazione dei medici sullo stato di salute suo e quello del feto, la donna sia così peggiorata da morire.
Dopo la denuncia della famiglia sulla vicenda indaga il procuratore aggiunto Nunzia Gatto. Alcuni medici coinvolti sarebbero già stati iscritti nel registro degli indagati, anche per poter svolgere consulenze e accertamenti.
Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, che detiene temporaneamente la delega sulla Sanità, ha disposto che i funzionari preposti effettuino "immediate verifiche".