Parla a Tgcom24 Anna Maria Rita Atria, sorella della testimone di giustizia di 17 anni trovata in fin di vita sotto il palazzo dove viveva a Roma: "Cerco il suo fidanzatino dell'epoca, forse sa qualcosa"
di Tamara Ferrari© Tgcom24
“Vorrei sapere cosa è successo davvero a mia sorella. Ci dissero che si era suicidata per il dolore causatole dalla morte del magistrato Paolo Borsellino. Ma io non ne sono convinta”. A parlare a Tgcom24 è Anna Maria Rita Atria, sorella di Rita Atria, la testimone di giustizia di 17 anni morta il 26 luglio del 1992, una settimana dopo la strage di via D'Amelio. Che aggiunge: “Vorrei trovare il fidanzatino di Rita, Gabriele. E anche una istruttrice di nuoto, Ivana. Con loro si confidava. Potrebbero aiutarmi a fare chiarezza”.
Un anno fa, Anna Maria Rita Atria ha presentato, insieme alla co-fondatrice dell'Associazione antimafia Rita Atria, Nadia Furnari, un esposto alla Procura di Roma per chiedere la riapertura delle indagini sulla morte di sua sorella, che è conosciuta come la "settima vittima di via d'Amelio". “Nessuno ha mai indagato sul serio sull'accaduto”, dice, “e ci sono tante stranezze intorno a questa morte. È importante che Gabriele e Ivana si facciano vivi, che ci dicano che cosa sanno e ci aiutino a capire che cosa è successo a Rita. Potrebbero dare un importante contributo nella ricerca della verità. In fondo un po' glielo devono, se non altro per il coraggio che mia sorella ha avuto nel portare avanti le sue scelte. Scelte che ha pagato con la vita”.
Ma chi era Rita Atria? Figlia del boss don Vito Atria, ucciso a Partanna, in Sicilia, il 18 novembre del 1985 in un regolamento di conti. Sorella di Nicola Atria, morto in un agguato il 24 giugno del 1991. Dopo la morte di suo fratello, e dopo che la moglie di lui, che ha visto i killer, ha iniziato a collaborare con la giustizia, Rita decide di raccontare ai magistrati tutto quello che sa sulla mafia. Approfitta del fatto che sua madre le ha preso in affitto una stanza a Sciacca per permetterle di frequentare l'istituto alberghiero e va dai carabinieri. Da qui viene portata in Procura.
Rita risponde alle domande dei magistrati, racconta i discorsi sentiti a casa da suo padre e che nel tempo ha interpretato grazie alle spiegazioni di suo fratello, del suo fidanzato e degli “amici”. Svela i retroscena di omicidi, gli affari dei clan. Il cinque novembre del 1991, ad appena diciassette anni, Rita Atria entra nel sistema di protezione per i testimoni di giustizia. A proteggerla e a sostenerla c'è il magistrato Paolo Borsellino, che diventa per lei come un padre e la aiuta a iniziare una vita a Roma sotto falso nome. Per questo, quando il 19 maggio del 1992 il magistrato viene fatto saltare in aria insieme aila sua scorta, la ragazzina rimane sconvolta. Nel suo diario scriverà: “Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura, ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi... Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta”.
A Roma, Rita Atria viene sistemata in una casa insieme alla moglie di suo fratello ucciso, anche lei diventata testimone di giustizia. Ma la ragazzina vuole andare a vivere da sola, lo chiede ufficialmente nel mese di maggio del 1992. Verrà accontentata soltanto dopo la strage di via d'Amelio, ma nella nuova casa abiterà alla fine solo un giorno. Il 26 luglio del 1992 Rita muore in circostanze misteriose. “Ho saputo quello che era accaduto a via D'Amelio dai telegiornali”, ricorda Anna Maria Rita Atria, che era andata via dalla Sicilia giovanissima, dopo avere sposato un militare, “invece, la morte di Rita l'ho appresa da mio marito. Data la mia situazione familiare e il contesto mafioso non ho potuto fare altro che tacere e subire impotente. Ero agghiacciata e succube di tutto. Non dimentico che sono la figlia di un padre ucciso per mafia e questo mi ha sempre procurato dolore”. Ricorda: “Rita aveva un carattere dolcissimo, era sempre sorridente. Io era la sorella maggiore, quella che avrebbe dovuto aiutarla nei momenti di bisogno. Una cosa che non dimenticherò mai è il profumo del sapone quando mia mamma le faceva il bagnetto. E poi lo scrocchiare delle sue dita con la manina quando, ancora nella culla, si agitava perché voleva qualcosa”.
“Non ci sono prove che Rita Atria si sia suicidata”, dice Nadia Furnari, “Nell'appartamento dove viveva non sono state trovate impronte digitali, neanche le sue. In camera da letto c'era la sua carta di identità, con il suo nome e cognome veri e gli indirizzi dei luoghi dove aveva abitato fino a quel momento. Il che è strano, poiché era una testimone di giustizia che avrebbe dovuto vivere sotto falso nome”. Anche nella scuola dove era stata iscritta i docenti sapevano chi fosse. Tutti i dubbi sono raccolti nel libro inchiesta Io sono Rita. Rita Atria: la settima vittima di via d'Amelio, scritto da Giovanna Cucè, Nadia Furnari e Graziella Proto. “A un certo punto, Rita chiede di andare a fare visita a sua sorella a Milano”, racconta Nadia Furnari, “ma invece di organizzare un viaggio sicuro e protetto, le danno i soldi per pagarsi il biglietto del treno e partire da sola. Peccato che fosse una minorenne, oltre che una testimone di giustizia che rischiava la vita”. Aggiunge: “Rita è stata trovata in fin di vita sotto il palazzo dove viveva in via Amelia, a Roma. Non si spiega come abbia fatto a buttarsi giù dalla finestra, visto che la serranda era semichiusa. Nell'appartamento è stato trovato un orologio maschile, ma nessuno lo ha inserito tra i reperti. A chi apparteneva? Nel suo sangue è stato trovato un tasso di alcol molto alto, ma Rita non beveva. A casa sua è stata trovata una bottiglia in cima a un mobile, anche questa senza impronte”.
Negli ultimi tempi Rita aveva conosciuto un ragazzo, Gabriele, marinaio di leva calabrese, imbarcato sulla nave Capri in missione a Valona, in Albania. “Lui potrebbe sapere molte cose”, dice Anna Maria Rita Atria, “vorrei che si facesse vivo. Sarebbe importante rintracciare anche Ivana, all'epoca istruttrice di nuoto presso la piscina vicino a villa Pamphili”. Da quanto risulta dagli scritti di Rita Atria, Ivana aveva anche dormito a casa sua. La ragazzina si confidava con lei. Gabriele e Ivana sanno qualcosa che potrebbe aiutare a fare chiarezza sulla morte della ragazzina? “Spero che si facciano vivi, o che qualcuno che li conosce dica loro che li stiamo cercando”, dice Anna Maria Rita Atria, “Capisco i loro eventuali timori, la mafia fa paura a tutti. Ma dopo trentuno anni credo che sia arrivato il momento di fare luce su questa vicenda. Rita lo merita”.