“Le Iene” hanno incontrato la famiglia di camorristi che teneva sotto scacco Michele Polverino
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Aveva aperto una cartolibreria a Saviano, un come in provincia di Napoli. Non certo un’attività che lo avrebbe reso ricco, ma tanto è bastato per attirare le attenzioni della camorra. Questa la storia di Michele Polverino, piccolo imprenditore del napoletano, che dopo aver aperto la sua attività si è visto chiedere 5mila euro di pizzo. “Mi avevano detto: ‘Qui a Saviano pagano tutti’” racconta i microfoni de Le Iene. Una volta arrestati i vertici del clan che lo perseguitava, Michele ci riprova, stavolta con un bar sala giochi. Ma il risultato è lo stesso. A tartassare il piccolo imprenditore stavolta è Pompeo Napolitano, che dopo aver saputo della denuncia di Michele alle forze dell’ordine, ha iniziato a perseguitarlo e minacciarlo, lasciando anche dei messaggi inequivocabili come manichini appesi vicino alla porta di casa o riempiendogli il cortile di asce e coltelli.
Nel 2014, proprio grazie alle denunce di Michele, verranno arrestate otto persone. Ma da quel momento la clientela nel bar di Michele ha paura e Polverino è costretto a chiudere un’altra attività. “Le Iene” hanno provato a parlare direttamente con la famiglia di un capoclan della zona.: “È un fatto psicologico, la camorra non esiste. I camorristi sono i politici”. Poi Silvio Schembri è andato dalla famiglia di Pompeo Napolitano. “Michele è un fannullone di m***a, non ha mai lavorato. Deve soldi a tutta Saviano”. Infine ha provato a chiedere ai cittadini di Saviano se in paese sia presente la camorra, ma le risposte sono tutte molte evasive: “Io il pizzo non lo pago”; “La camorra qui non c’è”; “Se mi chiedessero il pizzo chiuderei subito. Se denunci rimani da solo”.