"La paura ha preso il sopravvento e sono scappato come un vigliacco lasciando Mez forse ancora viva. Di questo non finirò mai di pentirmi", aggiunge
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A 15 anni dall'omicidio di Meredith Kercher, parla l'unico condannato: Rudy Guede, tornato libero nel novembre del 2021 dopo avere scontato 16 anni di reclusione. In un'intervista al Corriere della Sera, il 35enne ivoriano torna a proclamarsi estraneo ai fatti. "L'ho detto quando credevano che mentissi per evitare la condanna, lo ripeto più che mai adesso che ho finito di pagare il mio conto alla Giustizia: io non ho ucciso Meredith", dice.
"Io c'ero in quella casa, chi lo nega? C'erano le mie tracce sul luogo del delitto, certo. Mica stavo fermo in un angolo. Ero con Meredith, ci siamo scambiati effusioni, abbiamo avuto un approccio sessuale, sono andato al bagno, ho provato a fermare il sangue che le usciva dal collo. Ovvio che ci fossero le mie tracce in giro. La sostanza è che è stato trovato il mio Dna. Dna, non sperma. Come ho sempre detto, stavamo per avere un rapporto sessuale ma ci siamo fermati perché senza preservativi. Eravamo due adulti consenzienti", aggiunge Guede, il quale ha scritto un libro autobiografico dal titolo "Il beneficio del dubbio, la mia storia" che tocca anche la vicenda dell'omicidio Kercher.
In particolare, l'ivoriano tiene a dire che "nelle mie sentenze c'è scritto: in concorso con Amanda Knox e Raffaele Sollecito, e nessuno dei giudici mi ritiene autore materiale del delitto. Poi loro due vengono assolti. Allora io chiedo: con chi ho concorso? Hanno respinto la revisione del mio processo ma è un controsenso logico. La giustizia italiana dice che ho compiuto un crimine con due persone specifiche ma non come autore materiale; loro escono di scena, quindi il carcere lo sconta una persona che non si capisce di cosa sia colpevole e con chi. Un condannato impossibile. O forse il condannato ideale: il negretto senza famiglia, senza spalle coperte, senza un soldo".
Inoltre, su Knox e Sollecito specifica che "ne hanno dette talmente tante loro sul mio conto che per me non ha più senso dargli corda e spazio. Io ho la coscienza a posto anche nei loro confronti. Per tutti questi anni sono stato dentro, sì, ma la mia mente era libera, pulita".
"Mi pento di averla lasciata lì" - L'ivoriano poi ammette di non perdonarsi di essere fuggito. "La paura ha preso il sopravvento e sono scappato come un vigliacco lasciando Mez forse ancora viva. Di questo non finirò mai di pentirmi. Ma avevo 20 anni e avevo davanti una ragazza agonizzante, l'ho soccorsa ma poi la mente è andata in tilt. Magari sarebbe morta lo stesso ma non aver chiesto aiuto resta la mia grandissima colpa. La vita di Mez che se ne stava andando fra gli spasmi. Gli asciugamani non bastavano a tamponare il sangue. Ero uscito dal bagno dopo aver sentito un urlo potente malgrado avessi le cuffiette con la musica a palla; nella penombra avevo visto uno sconosciuto con un coltello in mano. 'Andiamo via che c'è un negro' aveva detto ad Amanda. All'improvviso il mio cervello è scoppiato. Io non avevo fatto niente ma chi mi avrebbe creduto? E allora, in preda al panico, ho fatto un errore dopo l'altro. Un comportamento criticabile, è vero. Ma questo non fa di me un assassino", conclude.