La svolta nel caso arriva grazie a una serie di verifiche su documenti e di accertamenti balistici effettuati sull'arma sequestrata a luglio 2018
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A quasi 34 anni dall'omicidio del giudice Antonino Scopelliti, avvenuto il 9 agosto 1991 nella sua auto a Villa San Giovanni, in Calabria, la polizia torna sul luogo del delitto per nuovi rilievi scientifici. La svolta arriva grazie a una serie di verifiche su documenti e di accertamenti balistici effettuati sull'arma sequestrata a luglio del 2018.
Per effettuare i rilievi, la polizia scientifica ha riportato sul luogo del delitto, la frazione Ferrito di Villa San Giovanni a Piale di Campo Calabro, la Bmw 318i del giudice, custodita in tutti questi anni dai familiari.
Tornato in Calabria per trascorrere le vacanze estive, il giudice era stato raggiunto dai sicari a bordo di una moto dopo avere trascorso la giornata al mare, venendo attinto dai colpi di un fucile calibro 12 caricato a pallettoni e rovinando in un terrapieno poco distante.
Entrato in magistratura a soli 24 anni, Antonino Scopelliti esordì nella carriera di magistrato requirente come pubblico ministero presso le Procure della Repubblica di Roma e Milano, assumendo poi l'incarico di procuratore generale presso la Corte d'appello e rappresentando, infine, la pubblica accusa presso la Corte di Cassazione, dove si occupò di maxi processi di mafia e terrorismo. Tra questi figurano, tra gli altri, il primo processo Moro, il sequestro dell'Achille Lauro, la Strage di Piazza Fontana e quella del Rapido 904.
Qualche settimana prima di essere ucciso era stato designato, seppur ancora informalmente, a rappresentare la Procura generale avverso i ricorsi presentati contro la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Palermo nel dicembre 1990 nell'ambito del "maxi processo contro Cosa Nostra". Ragione per la quale era stata percorsa sin da principio la pista siciliana, ipotizzandosi il coinvolgimento di esponenti di vertice di Cosa Nostra, che avrebbero operato con il nullaosta della 'ndrangheta calabrese. Più in particolare, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia dell'epoca misero in luce il ruolo determinante di Cosa Nostra nella definizione della seconda guerra tra cosche del reggino, così vantando credito presso gli opposti schieramenti. Nell'aprile 1993 vengono quindi arrestati, in concorso con i maggiorenti della Cupola palermitana, anche i calabresi Antonino, Antonio e Giuseppe Garonfolo, esponenti di vertice dell'omonima consorteria operante a Campo Calabro (collegata ai De Stefano), nonché il noto killer della 'ndrangheta Gino Molinetti.
Le investigazioni, mai interrotte, hanno fatto registrare una svolta significativa nell'estate del 2018, quando il collaboratore di giustizia Maurizio Avola si autoaccusò dell'omicidio, dichiarandosi parte del commando armato che operò a Piale di Campo Calabro e facendo rinvenire agli inquirenti la presunta arma del delitto. Si trattava di un fucile calibro 12 di fabbricazione spagnola sotterrato nel giardino di una villetta situata nel Comune di Belpasso (Catania).