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Andrea Favero ammette le proprie responsabilità raccontando i due minuti passati sopra l'autostrada ma le sue parole non potranno essere usate nel processo perché il compagno di Giada le ha pronunciate senza la presenza di un legale (e poi negate durante l'interrogatorio)
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"L'ho afferrata per le ginocchia e l'ho spinta oltre la ringhiera". Con queste parole Andrea Favero di fatto ammette le proprie colpe nell'omicidio della compagna Giada Zanola, precipitata dal cavalcavia sull'A4 a Vigonza, in provincia di Padova. Una vera e propria confessione - compatibile anche con quanto emerso dall'autopsia, ovvero che Giada era ancora viva quando è precipitata - ma non utilizzabile a livello processuale perché le parole non sono state pronunciate davanti a un legale. L'indagato, poi, durante l'interrogatorio con il pm Giorgio Falcone, ha cambiato versione ritrattando quando ammesso in precedenza: al pubblico ministro, infatti, Favero ha detto di "non ricordare" quanto accaduto nella notte tra martedì e mercoledì scorso.
E' il "Corriere della Sera" a riferire del racconto dell'uomo, in carcere con l'accusa di aver gettato giù dal ponte la donna nella notte tra martedì e mercoledì. Dice di aver litigato con lei per l'ennesima volta, che Giada è scappata a piedi verso il cavalcavia. Lui l'ha raggiunta in auto e l'ha fatta salire, ma "lei continuava a sbraitare dicendo che mi avrebbe tolto il bambino. Siamo scesi dall'auto e l'ho spinta oltre la ringhiera".
C'è un gradino davanti alla rete di protezione del cavalcavia e tutta la ringhiera è alta un metro e 96 centimetri. Ottanta centimetri sopra la strada c'è un "gradino". Se Giada fosse salita sul gradino si sarebbe potuta affacciare oltre la ringhiera: in quella posizione per Favero era facile spingerla e farla cadere. Secondo i video di alcune telecamere della zona l'auto è rimasta sul cavalcavia meno di due minuti: il tempo sufficiente per far cadere la donna nel vuoto. L'autopsia ha già stabilito che, quando è caduta, era viva. Ora dovrà accertare se aveva assunto farmaci o droghe.
Tutto questo Favero l'ha detto, ma non davanti a un legale. Quando gli è stato chiesto di ripetere tutto davanti al pm e a un avvocato, ha detto di avere un vuoto di memoria e ha dichiarato di non ricordare "se siamo saliti sul gradino della ringhiera".
La gip ritiene comunque che le prime dichiarazioni siano così gravi da giustificare l'arresto. Oltre alle sue parole ci sono altri indizi registrati nell'ordinanza. Tra i quali il messaggio inviato la mattina dopo a Giada per lamentarsi che non era passata a salutarlo. Poi ci sono le precedenti aggressioni, la rabbia per le nozze annullate e perché lei aveva un'altra relazione. Ancora non è stato trovato il cellulare di Giada: si sospetta che sia stato proprio Favero a farlo sparire. Al suo interno ci potrebbero essere foto di ematomi su collo e braccia della donna dopo l'ultima lite, due giorni prima che la donna morisse. Giada gli aveva detto che avrebbe fatto vedere quelle immagini alla polizia? Minacciandolo di non fargli più vedere il figlio? Quelle foto però lei le aveva già mandate a un'amica e al nuovo compagno, e adesso sono agli atti.
Nella dinamica dei fatti raccontata dall'uomo però ci sono parecchie cose che non tornano. Giada sarebbe uscita senza una borsa, ma solo con un portadocumenti trovato in strada, vicino al corpo. Perché uscire alle 3 di notte verso i campi e allontanarsi dal figlio? Gli inquirenti ritengono che potrebbe non esserci stata nessuna lite in casa, ma Favero potrebbe aver prima picchiato la compagna e poi gettata in strada per cancellare le prove delle violenze.
Adesso scatta la perizia sul cellulare dell'uomo per verificare se ci siano video intimi con cui avrebbe minacciato di ricattare Giada. Intanto, lunedì sera la comunità di Vigonza ha partecipato a una processione fino alla casa dove viveva la coppia, per raggiungere poi il cavalcavia. Per l'occasione c'era anche Gino Cecchettin. "Sono qui per stare accanto alla famiglia di Giada", ha detto il padre di Giulia.