accadde nel 1958

Prima della tanatoprassi di papa Francesco: quando il corpo di Pio XII "esplose"

Per il pontefice Eugenio Pacelli il suo medico personale sperimentò una forma di conservazione della salma che si rivelò fallimentare fino al disfacimento totale nel corso del trasporto da Castel Gandolfo a San Pietro per la tumulazione

25 Apr 2025 - 15:05
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Più di 150mila fedeli in poco più di tre giorni hanno potuto sfilare in preghiera davanti alla salma di papa Francesco, che è stata ricomposta tramite la moderna tecnica di conservazione della tanatoprassi. Una pratica, questa, lontana dalla tradizionale mummificazione di un tempo e... dai rischi del passato. E proprio dal passato, sull'argomento, riemerge la vicenda della salma di papa Pio XII, che "esplose" durante il trasporto da Castel Gandolfo, dove morì, e il Vaticano, destinazione finale per la sepoltura.

La vicenda di Pio XII

 Era il 10 ottobre del 1958 e il decesso del pontefice 82enne, alla nascita Eugenio Pacelli, era avvenuto il giorno prima a Castel Gandolfo. Dopo l'omaggio dei fedeli, la sepoltura sarebbe avvenuta nelle Grotte Vaticane: il Papa, dunque, doveva tornare a San Pietro. Anche in quell'occasione, tra l'altro, come avverrà per Francesco che sarà tumulato nella tomba nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, il feretro del pontefice dovette "attraversare" lo Stato italiano. Ma allora il trasporto di Pio XII fu effettuato in tutta fretta, a causa della repentina decomposizione della salma. Ecco cosa era andato storto nella pratica di conservazione del corpo del Santo Padre.

Che cosa non funzionò nella conservazione della salma di papa Pio XII

 In quell'ottobre del 1958 a occuparsi della conservazione del corpo di papa Pio XII c'era il suo medico personale, l'archiatra pontificio Riccardo Galeazzi Lisi, un oftalmologo membro onorario della Pontificia Accademia delle Scienze e fratello di un celebre architetto.

Galeazzi Lisi passò, però, alla storia come l'"archiatra corrotto", per la sua assenza di scrupoli (pare vendesse notizie sulla salute del Santo Padre ai giornali e che riuscì a far soldi persino sulle foto del pontefice scattate sul letto di morte) e per l'imbarazzo che causò al Vaticano con quell'inconveniente che andò a disonorare i funerali del pontefice.

Suo, infatti, fu quel "metodo rivoluzionario", che avrebbe dovuto conservare il corpo del Papa per giorni, ma che fallì poco dopo, perché la salma, in realtà, iniziò a decomporsi dopo poche ore, durante l'esposizione. Fino ad esplodere nel corso del trasporto tra Castel Gandolfo e il Vaticano.
 

Incaricato dell'imbalsamazione delle spoglie del pontefice, Galeazzi Lisi applicò un metodo di sua invenzione, sostenendo di averne parlato con Pacelli prima della morte. Pio XII sarebbe stato, infatti, contrario alla tradizionale imbalsamazione, desiderando mantenere tutti gli organi interni "così come Dio li aveva voluti". Pertanto il suo medico iniziò a vantarsi di aver studiato una tecnica sperimentale di olii e resine, la stessa utilizzata anche per il corpo del Cristo.

E, con il suo assistente, Galeazzi Lisi avvolse il corpo di Pio XII in una serie di strati di cellophane, insieme a erbe e prodotti naturali. Ma, così, invece di tenere "fresco" il cadavere, ne andò ad alzare rapidamente la temperatura, accelerando irreversibilmente il processo di decomposizione. Fino alla catastrofe finale.

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