L'assicurazione aveva respinto la richiesta d'indennizzo nel dicembre 2020. Ora i giudici di Vercelli hanno dato ragione alla figlia
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Il padre, medico di famiglia, era morto di Covid, contratto mentre visitava i pazienti positivi. L'assicurazione aveva negato il risarcimento, ma ora il tribunale di Vercelli ha dato ragione alla figlia: il decesso è stato riconosciuto come "infortunio sul lavoro" e la compagnia assicurativa è stata condannata a pagare 130mila euro, di cui 125mila a titolo d'indennizzo e 5mila come penale per il ritardo della liquidazione.
L'infezione e la morte - Il medico era deceduto nel 2020 in seguito all'infezione da coronavirus, cui era venuto a contatto mentre assisteva i ricoverati in una Rsa del Nord Italia. L'uomo visitava anche i pazienti positivi a domicilio. Come spiega Il Tirreno, il 21 dicembre 2020 l'assicurazione aveva respinto la richiesta d'indennizzo della famiglia perché il "Covid non è un infortunio ma è una malattia". La compagnia assicurativa era anche arrivata a contestare il fatto che il medico avesse contratto l'infezione sul luogo di lavoro.
È infortunio sul lavoro - Ora il tribunale di Vercelli, al quale si è rivolta la figlia, ha dimostrato che il medico "stava svolgendo effettivamente e in concreto la propria attività professionale in un contesto di rischio elevato fino al momento del contagio, assistendo privati e soggetti ricoverati nelle Rsa".
In aggiunta, i giudici hanno ricordato che la morte da Covid è per il medico un infortunio sul lavoro in virtù del decreto-legge n. 17 del marzo 2020, relativo alle misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale varate per fronteggiare l'emergenza epidemiologica. "A seguito dell'introduzione di tale norma - spiega ancora il tribunale piemontese - l'infezione da coronavirus avvenuta in occasione di lavoro è considerata infortunio a tutti gli effetti, e non malattia".