I tre di origine nordafricana credevano che l'uomo, di 43 anni, fosse "posseduto dai demoni"
"Aveva il diavolo dentro" e per questo motivo era stato sottoposto a sedute di esorcismo con rito islamico da parte dei parenti. Una di queste si è trasformata in tragedia. Tre persone, originarie del Marocco, sono state fermate dai carabinieri di Cuorgnè, nel Torinese, per la morte di un connazionale di 43 anni, trovato senza vita al piano terra della sua abitazione di Salassa il 10 febbraio. Sono il fratello della vittima, un 46enne, lo zio, 52enne e Imam della comunità islamica locale, e l'ex moglie, 35 anni.
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Non è stato semplice ricostruire l'accaduto anche perché, in un primo momento, sembrava che il decesso dell'uomo potesse essere riconducibile a un'overdose. C'è voluta una minuziosa indagine dei carabinieri di Cuorgnè e dei colleghi del nucleo operativo della compagnia di Ivrea per svelare l'atroce verità.
Il 43enne, infatti, da tempo alle prese con problemi di natura psichiatrica, era stato allontanato dall'ex moglie nel 2022, dopo che, pensando che fossero posseduti dal demonio, aveva aggredito la donna e i figli. Secondo i familiari, però, ora era lui ad essere finito nella rete dei demoni. E per questo motivo, nelle settimane precedenti al ritrovamento del cadavere, era stato sottoposto ad almeno due sedute di esorcismo con rito islamico.
La sera del 10 febbraio la situazione è sfuggita di mano: il 43enne, in stato di alterazione psicofisica dovuta all'assunzione di stupefacenti, è stato legato mani e piedi per permettere ai famigliari di effettuare il rito. Ed è in questo contesto che l'uomo è morto soffocato. L'autopsia ha infatti confermato il decesso per un'insufficienza respiratoria acuta. Non dovuta, come si era ipotizzato inizialmente, all'assunzione di cocaina, ma "provocata meccanicamente" con una maglia. L'indumento, poi ritrovato a casa dell'ex moglie e posto sotto sequestro dai carabinieri, era privo di un bottone che il medico legale ha ritrovato nella gola della vittima.
A quel punto i militari dell'Arma hanno ricostruito tutti gli spostamenti dei familiari, analizzando celle telefoniche, telecamere di videosorveglianza e varie testimonianze. Ed è nel corso di questa serie di accertamenti che sono emerse numerose incongruenze nel racconto fornito dallo zio, dal fratello e dall'ex moglie della vittima che, nei giorni successivi, hanno anche tentato, senza successo, di far sparire le tracce del delitto dall'abitazione di via Cavour. Circostanza confermata da alcune intercettazioni telefoniche e messaggi social che i tre si sono scambiati nei giorni successivi all'episodio.
Tardiva sarebbe stata anche la richiesta d'intervento al 118 la sera del 10 febbraio: quando l'equipe medica, alle 21.45, allertata dai parenti, è intervenuta nell'alloggio di Salassa per soccorrere il 43enne in arresto cardiaco, l'uomo era in realtà già morto da quasi due ore, come ha rivelato l'autopsia.
A seguito della convalida dei fermi, il Gip del tribunale di Ivrea, Marianna Tiseo, ha disposto il carcere per lo zio e il fratello della vittima e i domiciliari per l'ex moglie.