Il decreto Genova sarebbe già dovuto essere nelle mani del capo dello Stato ma a quanto pare è ancora impantanato: il punto è assegnare a un'impresa la ricostruzione, sperando che l'Ue non faccia ricorso
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Sono passati 40 giorni dal giorno del crollo del ponte Morandi, non c'è più tempo da perdere. Il decreto Genova sarebbe già dovuto essere sulla scrivania del capo dello Stato ma a quanto pare è ancora impantanato tra i corridoi del ministero dell'Economia: un mega testo da 40 articoli che sta mettendo a dura prova i dicasteri di Infrastrutture, Svuluppo economico e Palazzo Chigi . Il punto è evitare gli appalti pubblici e assegnare a un'impresa la ricostruzione, sperando che l'Europa non faccia ricorso.
L'assegnazione diretta di un appalto, infatti, secondo la normativa europea potrebbe configurarsi come aiuto di Stato ma in questo caso, spiega il sottosegretario delle Infrastrutture, Edorardo Rixi a La Stampa, "saremo pronti ad andare incontro alla procedura d'infrazione". Del resto, se bisogna agire in fretta, questa "sfida" sembra essere l'unica alternativa possibile.
L'altra, quella standard, comporterebbe indire una gara europea per scegliere l'impresa idonea alla ricostruzione. Una soluzione per la quale sono necessari almeno 18 mesi. E seguendo la procedura, i lavori del ponte non inizierebbero prima di tre anni. A meno che, l'Europa non accetterà di andare in deroga alle procedure, considerando l'emergenza di Genova come un'eccezione. Insomma, non si può rischiare di far innervosire Bruxelles: ecco perché l'attenzione al testo del decreto sembra essere maniacale.