Così come messaggi scritti e vocali

Processi, anche le emoticon su WhatsApp possono essere una prova utilizzabile

Ma la privacy resta un ostacolo nell'utilizzo dei social. Ecco una serie di decisioni di Cassazione e tribunali sul tema

07 Mar 2025 - 12:25
 © ansa

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Le emoticon di WhatsApp, al pari di messaggi scritti e vocali, diventano una prova nei processi. Ma nell'utilizzo dei social nei esiste un ostacolo: la privacy. Come dimostra un'ordinanza depositata il 20 febbraio dalla Cassazione, nella quale afferma espressamente che non può scattare l'addebito della separazione sulla base di screenshot acquisiti illecitamente dalla coniuge su WhatsApp tramite il cellulare del marito che ne dimostravano l'infedeltà. In sintesi, come si legge su Italia Oggi, "se è certo che le conversazioni fotografate per sempre negli screenshot sono una vera prova non lo è altrettanto sull'utilizzabilità quando le informazioni vengono trafugate dal cellulare altrui. Più facile che diventino validi e utilizzabili nel processo penale dove non vi è la necessità di una prova legale ma il dato, comunque sia acquisito, può essere liberamente utilizzato dal magistrato. Diverso è in ambito civile dove è richiesto un maggiore rigore per tali prove che devono essere legali, nel senso che il giudice non può che dargli un valore prestabilito".

A questo proposito, il Tribunale di Foggia con la sentenza n. 1092/2022 ha affermato che le emoticon, i cuoricini all'amante, possono essere causa di addebito della separazione a carico del coniuge che li ha mandati. In più, gli screenshot insieme alle testimonianze consentono di datare l’inizio della relazione, che avviene in costanza di matrimonio, quando non c’è ancora tensione nella coppia.

Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n.522 dell'8 febbraio 2025, ha sancito che il genitore collocatario ha diritto al rimborso per le spese straordinarie sostenute per i figli con un semplice ok sulla chat

Sempre sul versante del diritto civile, la sesta sezione civile del Tribunale di Milano, con la sentenza n. 823/25, ha sancito che un messaggio (anche se vocale) su WhastApp o una mail possono provare il piano di rientro accettato dal creditore. Non sono necessarie Pec o firma digitali, dunque, per provare gli accordi presi con il debitore.

E ancora, scrive Italia Oggi, da una sentenza pubblicata il 29 dicembre 2024 dalla seconda sezione civile del Tribunale di Torre Annunziata, nella città metropolitana di Napoli, emerge che "il messaggio vocale fa revocare il decreto ingiuntivo. Infatti, se il contenuto della chat può essere utilizzato nella causa civile come prova legale ex articolo 2712 Cc, altrettanto vale per l’audio inviato tramite l’app di messaggistica in cui si evince in modo inequivocabile la volontà della parte di recedere unilateralmente dal vincolo contrattuale. E che dunque nulla più è dovuto dalla controparte: pesa il mancato disconoscimento da parte dell’interessato".

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